Un’Artista schivo dalla scena, lontano dai meccanismi di largo consumo musicale ai quali siamo abituati. Le sue composizioni rispecchiamo gli stati d’animo dell’Artista rappresentandone i tratti della società moderna. Il quinto disco s’intitola “Luna persa” (Ala Bianca Group – 2008) dove è contenuto in bonus track “La fiera della Maddalena” canzone del 1994 interpretata insieme a Fabrizio De Andrè. Il quale in una confidenza rivelava considerare come il cantautore più rappresentativo della scena italiana moderna. Incontriamo Manfredi per raccontare di questo stile fra cantautore e poeta.

Appena pubblicato il tuo nuovo quinto cd: “Luna Persa”. Un riferimento voluto oppure un titolo casuale?

Luna persa, dove “perso” non è solo un participio passato del verbo “perdere”, ma anche l’antica denominazione di un colore indistinto, scuro… La luna persa è una luna inquinata dall’ossido e dalle luci, difficile da ritrovare, che nasconde il ricordo di una luna chiara, visibile, classica, romantica. Un ricordo collettivo, quindi. E una fantasia collettiva. Un incubo di sempre, una volta si suonavano i bronzi per tenere lontana l’eclisse.

Un disco che racchiude un valore aggiunto nella traccia “La fiera della Maddalena” dove duetti con nel 1994 con Fabrizio De Andrè. Per quale motivo, a tuo avviso, De Andrè fece quella confessione: «Manfredi è il miglior cantautore italiano»?

Di sicuro non era ubriaco, aveva smesso di bere, ai tempi. Non direi che è una confessione. Semplicemente una giornalista – in incognito – gli ha chiesto se voleva segnalargli qualcuno fra i cantautori che venivano dopo di lui, e lui ha dato quella risposta…

Manfredi non scrive dischi in serie, rincorrendo il mercato musicale a volte frenetico. Una scelta che ti ha posto dei limiti?

No, anzi, direi che me ne ha tolti. Quantomeno limiti di tempo… è vero, le mie canzoni se la prendono comoda, e a volte anche i miei produttori.

L’elemento tempo quanto è importante nella produzione artistica di Manfredi?

E’ un elemento fondamentale, come in qualsiasi produzione artigianale. Come in qualsiasi cosa, direi.

Le tue composizioni hanno un carattere autobiografico: “raccontano della vita alla vita”?

“Raccontano dalla vita alla vita” mi piace. Non sono necessariamente autobiografiche. Se una frase mi preme, se mi va di raccontare una cosa, accetto anche suggerimenti esterni. Alla fine invento un narratore, non è detto che sia proprio io. Come fanno scrittori e registi, e persino poeti.

Se dovessimo sintetizzare in un aggettivo la tua musica, quale utilizzeremmo?

Scenica. Per me, anche emozionante.

Quali sono le tue influenze musicali?

Febbri musicali… un po’ di tutto. Posso nominare il fado, il rebetico greco, la musica klezmer… alcuni grandi della canzone… la canzone napoletana del primo novecento… i trovatori e i chierici vaganti del medioevo… le cantilene di natale… i Lieder di Schubert… febbri, influenze e convalescenze. Non modelli…

Il poeta Claudio Pozzani si chiede dove stia la differenza fra Massimo e Max. Lo chiediamo all’interessato?

Io però non sono interessato alla differenza tra Massimo e Max… E’ una trovata di Claudio.
Mi faccio chiamare Max perché è più breve, come quando si chiamano i cani. Come Totò Tarzan, che da lontano si annunciava con un urlo; e da vicino col verso che si fa per chiamare i gatti.

Come ti poni rispetto alla scena contemporanea dei cantautori italiani?

Per rispondere a questa domanda, piuttosto complessa, ci vorrebbe un’altra intera chiacchierata. Quando vuoi la facciamo!
Però sarebbe più interessante, almeno per me e chi mi conosce, almeno in questo momento di “promozione” (o “bocciatura”), se il quesito venisse rovesciato; e si chiedesse ai cantautori contemporanei che sanno chi sono come valutano la “mia” scena…

C’è qualcuno per il quale nutri stima e ti piacerebbe fare qualcosa insieme?

Tanti. Ogni collaborazione ha il suo fascino. Ma sono cose che capitano da sole, se capitano, quando capitano.

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