Appassionato di musica e ricercatore di suoni, questa potrebbe essere la sintesi per descrivere la passione che ha portato un giovane musicista ad avvicinarsi ad uno strumento singolare che in pochi riescono ad avere. Stiamo parlando dell’hang drum.

Al microfono di Patrizio Longo incontriamo Marco Selvaggio, Bentrovato?

Salve a tutti! Sono Marco Selvaggio, sono nato a Catania il 7 ottobre 1983 e conduco una doppia vita: avvocato di giorno e artista di notte. La mia vita è divisa tra il mio lavoro e la mia passione. Mi piacerebbe vivere di quest’ultima, ma la musica ad oggi non consente facilmente un’opportunità del genere. Ma è un sogno ricorrente che non smetto ancora di seguire. La musica per me è tutto, il mio amore, il mio mondo. Il mio oceano. Sogno ancora di poter un giorno girare il mondo con il mio hang drum in spalla e suonare con artisti sempre diversi. Pittori, musicisti, ballerini, video maker, dj, giocolieri. In fin dei conti penso sempre che la musica, e l’arte in genere, vada condivisa e miscelata continuamente sotto diversi profili in maniera tale da poter creare sempre nuove sinergie. La musica è vita!

Raccontaci come ti sei avvicinato hang drum, leggendario ed utopico strumento?

Milan Kundera nell’Insostenibile leggerezza dell’essere afferma che «La nostra vita quotidiana è bombardata da coinicidenze o, per meglio dire, da incontri fortuiti tra le persone e gli avvenimenti chiamati coincidenze. Una coincidenza significa che due avvenimenti inattesi avvengono contemporaneamente, si incontrano. La stragrande maggioranza di queste coincidenze passa del tutto inosservata. perché proprio in questo modo sono costruite le vite umane. Sono costruite come una composizione musicale. L’uomo spinto dal senso della bellezza, trasforma un avvenimento casuale in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita. Ad esso ritorna, lo ripete,lo varia, lo sviluppa, lo traspone, come fa il compositore con i temi della sua sonata. L’uomo senza saperlo compone la propria vita secondo le leggi della bellezza persino nei momenti di più profondo smarrimento». Io mi sono avvicinato all’hang drum per una pura coincidenza. Ero a Roma e avevo sentito un suono stranissimo dal quale sono stato stregato! Seguendolo sono arrivato a capire che non era prodotto dal vivo e da uno strumento che non avevo mai visto. Da lì la mia sfrenata ricerca. Non avrei mai potuto permettere che questa coincidenza potesse passare inosservata lasciando priva la mia vita di questo senso di bellezza. La prima canzone dell’album Into the Ocean si chiama appunto Serendipity. La serendipità indica, infatti, la sensazione che si prova quando si scopre una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra… In poche parole l’hang, la mia musica e tutto ciò che da questa deriva.

È stato difficile imparare ad utilizzarlo?

Mi ritrovo spesso a suonare strumenti percussivi diversi per pura curiosità. Io suono il djembè da una decina di anni. Adattare le mie conoscenze all’hang drum non è stato così difficile. In sintesi far uscire i suoni puliti non è stata impresa ardua. Tuttavia, ciò che distingue l’hang da un tradizionale strumento percussivo sta nel fatto che l’hang drum è una percussione melodica. Pertanto bisogna creare delle vere e proprie composizioni musicali che riesco a inserire anche nella musica house o elettronica. Io suono in media due ore piene al giorno (o per l’esattezza a notte). La musica è diventata un po’ la mia sana “droga”.

Un progetto sonoro che si perfeziona ed esprime con Into the Ocean, il tuo primo lavoro. Lo definisci innovativo?

Si, almeno così la penso io. Into the Ocean rappresenta il mio mondo, l’universo che mi circonda che è fatto di tante piccole belle cose e pieno di valori. Ero a Benicassim, a nord di Valencia, quando al FIB, i Pixies cantavano Wave of Mutilation… All’interno della canzone c’è una frase che dice «drive my car into the ocean». In quel momento pensavo di non aver bisogno di una macchina per arrivare all’oceano, io c’ero già dentro il mio. Da lì è nato tutto e nell’estate del 2010 ho iniziato a scrivere e comporre i primi brani con l’aiuto del mio chitarrista Edoardo Piazza e delle mie cantanti Greta Fiorito e Valentina Cesario (e dopo l’incisione dell’album si è aggiunta Giulia Milioto al violino). Lo strumento cardine dell’album è l’hang drum, uno strumento che si è rivelato versatilissimo sin dal suo primo utilizzo e ad oggi non vi sono album del genere in circolazione. Into the Ocean è in ogni caso un album merita di essere ri arrangiato e composto nuovamente per valorizzare tutti i brani presenti al suo interno. Per questo ci sono nuovi progetti per il futuro.

Sei uno dei poco musicisti a possedere e suonare hang drum e l’unico a farlo sulla musica house ed elettronica. Leggendo la filosofia su questo strumento il tuo è un atteggiamento dissacrante?

Alcuni potrebbero pensare una cosa del genere. Soprattutto coloro che lo han costruito. L’hang drum non è nato come uno strumento musicale, bensì come uno strumento che aiuta la meditazione e a ritrovare se stessi. Io suono moltissimo da solo, adoro farlo a mare, in quelli che considero i miei posti. Al tempo stesso però, reputo che uno strumento come questo vada suonato sfruttando tutto il suo potenziale. È talmente versatile e bello che l’ho suonato per una compagnia di danza, per una compagnia teatrale, in alcuni aperitivi di spessore e in alcuni club molto importanti sopra la musica elettronica e soprattutto house. Basta pensare alla musica house caratterizzata ovviamente da una metrica in 4/4 con cassa in battere su ogni quarto, arricchita talvolta da figurazioni ritmiche più elaborate.Questa sezione ritmica fa da base per la parte melodica che verrà curata dall’hang drum. In poche parole suono con l’hang drum sul brano che mi viene passato dal DJ di turno costruendo melodie sempre diverse, a volte reiterando un motivo musicale, altre volte facendo dei veri e propri virtuosismi. Tutto ciò rappresenta una vera innovazione e rende originale ogni Dj Set.

Musicista autodidatta o hai studiato le partiture? Mi sono avvicinato alle percussioni per curiosità circa 10 anni fa. Ho iniziato a suonare per gioco e pensando che fosse relativamente semplice. Non mi ero accorto di quanto sbagliavo. Subito dopo aver preso in mano il mio primo djembè mi son subito trovato in difficoltà. Da là ho iniziato a trovare qualcuno da cui poter imparare. Mi sono avvicinato alla comunità senegalese presente nella mia città e a prendere lezioni di musica tradizionale africana. Ho preso lezioni e fatto stage di musica tradizionale con diversi percussionisti. Mi son ritrovato a suonare alla notte bianca a Parigi tantissimo tempo fa a seguito di alcune lezioni prese pure là. La musica porta sempre belle cose con se. È stato un modo di avvicinarmi alle percussioni e a questo mondo in maniera del tutto difforme da un tradizionale percussionista “classico” se così vogliamo dire. Da un po’ ho iniziato a studiare con Colaprisca, batterista di Lucio Dalla, e spero che il mio studio non si fermerà mai. È una cosa che mi sta facendo migliorare e che al tempo stesso mi porta continuo entusiasmo. Ho moltissimo da imparare!

Progetti per il futuro?

Ce ne sono davvero tanti e non saprei da dove iniziare. Sintetizzando potrei dire che sto lavorando per la creazione di alcuni pezzi house con l’aiuto di alcuni DJ producer. Mi piacerebbe realizzare, inoltre, un album di musica chill out. Sto componendo dei nuovi brani e lavorando con Luciano Nigro, caro amico che stimo moltissimo che lavora da anni nel campo della musica, per riscrivere i vecchi brani e riarrangiarli. È tutto in fase di sviluppo… Vi terrò aggiornati!

Per ascoltare una tua esibizione a chi rivolgersi?

Mi sono sempre gestito da solo perché l’ho sempre considerato il modo migliore per curare la mia immagine e tenere una fitta rete di rapporti con le persone addette al settore quali giornalisti, pr, dj, e proprietari dei locali che organizzano eventi. A fronte di ciò ho sempre tenuto aggiornato un profilo artista su Facebook in cui pubblico ogni tanto foto, video, interviste televisive e sui giornali e gli eventi a cui prendo parte. Internet mi aiuta davvero molto a curare tutto ciò! Senza avrei avuto davvero molti problemi. Adesso però mi rendo conto che un’agenzia importante alle spalle o un vero e proprio manager risolverebbero tantissimi problemi. Le agenzie sanno come muoversi ed essendo dentro questo grande mondo riuscirebbero a farmi emergere in maniera molto più incisiva. Mi piacerebbe poter andare finalmente fuori dall’Italia ad esibirmi. Spero solo che la meritocrazia non sia solo un’utopia.

Foto: Paolo Torrisi

Un comment a “Intervista a Marco Selvaggio: in viaggio per “Into the Ocean””
  1. Grande Marco! Meriti davvero
    Grande Marco! Meriti davvero di essere in prima linea in questo paese con pochi talenti. La tua originalità e la tua creatività spero che ti porteranno lontano! Hai tutte le carte in regola per arrivare in alto.

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