Musica indie che si fonde con riferimenti alle sonorità anni 70/80 della psychedelia in Poems and Shoes il primo lavoro degli Swami.

Al microfono di Patrizio LONGO incontriamo Livio Macchia, figlio omonimo di Livio Macchia, voce e chitarra dei Camaleonti e Marco Mantovani.

Per raccontare una tradizione di famiglia tramandata da padre in figlio e di musica sperimentale.

Come nasce il progetto Swami?

Il progetto Swami parte da una fusione di eventi, intenti, momenti divertenti ed esperienze condivise in musica. Siamo cresciuti nel circuito musicale underground di Milano, nella cosiddetta “Seattle” d’Italia tra Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni ed erano gli anni ’90. Dopo aver suonato in diverse band nella realtà grunge e punk dell’epoca e dopo esserci scrutati per anni, nel 2004 ad un concerto dei Beach Boys – prima ed unica data italiana – ci siamo trovati, decisi a formare questa band.

Dove trova origine il nome?

Swami è un termine Sanscrito che richiama tutti i guru e avatar o pseudo incarnazioni di Dio che circolavano per il pianeta soprattutto negli anni ’60, infatti il significato letterale in Sanscrito è “Maestro”, di vita, spirituale, qualcuno che ti da una conoscenza. Dovendo trovare un nome che potesse far trasparire un progetto musicale internazionale, una devozione e rispetto per la musica tali da descriverne l’essenza, immersi in una concezione esotica-esoterica e molto seventy, abbiamo pensato a un nome “memorabile”: Swami.

Come si coniuga la psychedelia degli anni ’70 – ’80 con l’indie rock?

È come un’opera d’arte che viene esposta nei vari musei, perché la musica autentica, quella che ha fatto la storia, gli affreschi psichedelici di Lennon e Barrett per intenderci; sono le opere d’arte che noi come altre migliaia di band ci tramandiamo in quest’epoca. La musica si ripete, tessendo la sua veste nelle trame del passato.
Questo rock si tramanda e si trasforma diventando oggi New Rock o Indipendent Rock. Indie sta appunto per indipendente e questo senso di libertà dalle Major discografiche che impongono i loro schemi e limiti, “tagliando gli artigli” dell’artista, accomuna le band di oggi alle band maturate negli anni 60/70 e noi ci ritroviamo esattamente in questa concezione.

L’influenza dei Camaleonti in che modo ha contribuito al progetto?

I Camaleonti sono stati influenzanti in modo del tutto naturale; in particolar per me (Livio) che dai primi passi ho seguito mio padre nelle varie tournee, creando così una naturale colonna sonora nella mia infanzia.

Con questo progetto abbiamo diviso il palcoscenico dei Camaleonti diverse volte, dandoci molta visibilità in situazioni dove il pubblico poteva superare le 15.000 presenze, dati e realtà che nel mondo degli emergenti compaiono raramente. L’approccio e le movenze su un vero palcoscenico, le abbiamo imparate così.

C’è qualcuno che ha detto che “abbiamo da sempre fatto parte di questo grande progetto” Alcuni album dei Camaleonti ci hanno fatto capire da vicino come si è sviluppata la musica negli anni d’oro…condita fortunatamente da alcuni tra gli stessi strumenti musicali presenti in quell’epoca, fotografie opacizzate dal tempo e dei fantastici vinili psichedelici/progressive come Che Aereo stupendo…la Speranza; Amicizia e Amore e Vita d’Uomo“. Antologie sconosciute di musica sperimentale rispetto ai cavalli di battaglia pop come Applausi, l’Ora dell’Amore, Eternità, Perché ti Amo, Io per Lei, Mamma Mia

Come nasce il vostro primo disco Poems and Shoes?

Poems and Shoes nasce principalmente dall’ispirazione e dallo studio portato avanti nell’ultimo anno, dopo il passaggio dal rock-pop italiano alla lingua inglese e alla musica internazionale…un po’ come fossero appunti di viaggio raccolti dagli scantinati super disordinati ma attrezzati, alle spaziali cabine di controllo dei migliori studi italiani. Quando energie e sinergie hanno fatto si che trovassimo un nostro stile, abbiamo subito inciso e deciso di pubblicare un album in linea con il concetto di autoproduzione. Dagli affascinanti disegni di Frazetta e lo stile di Dulac, poi l’incontro con Gio Talami, abbiamo inoltre pensato a realizzare una copertina che richiamasse in qualche modo quelle ambientazioni e quei mondi, ricercando l’anello di congiunzione tra arte visiva e scienza del suono.

È stata un’esperienza divertente e significativa per ogni singolo. Al momento stiamo provando e raccogliendo nuove canzoni da incidere in quello che sarà il nostro prossimo Album.

Quali sono stati gli elementi di riferimento?

Ci piace ascoltare una gamma musicale che nasce dai primi suoni prodotti con gli strumenti più rudimentali dei trascorsi millenni, alle ultime trovate, in particolar modo fermi sul concetto di analogico, il riferimento alle band del periodo “analogico” per eccellenza è stato automatico.

Hammond, effetti ricercati, synth, theremin, campane tibetane, tamburelli, cetre, sitar..e un light show con video prodotti da noi, proiettati a sincrono con i live.

Avete in programma un tour?

Abbiamo in programma un tour de force ormai da anni, passando da piccoli sudati Pub a larghe piazze e auditorium. Abbiamo suonato e suoniamo un po’ ovunque. Sicuramente con la promozione di questo disco faremo delle date concentrate in Primavera ed Estate alcune delle quali già fissate in Italia e in Europa.

Per acquistare il cd: www.swami.it

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