Un richiamo alla stazione di Sesto Marelli, della linea M1 della metropolitana di Milano. Un crocevia, un punto di passaggio tra culture, esperienze e vita. Al microfono di Patrizio Longo incontriamo i Sestomarelli nella voce di Roberto CARMINATI e Alex ALIPRANDI, bentrovati.

Ciao a tutti…

Raccontiamo di Acciaierie e Ferriere Lombarde Folk. Una fusione tra musica irlandese ed appunto folk?

Alex: Beh si sicuramente il folk e in particolare quello irlandese è una costante e un’influenza grossissima nel nostro sound. Considera che sia come duo/trio acustico da più di 20 anni e comunque come band da quasi 10, abbiamo avuto sempre un repertorio di cover composto da brani tradizionali irlandesi e canzoni di gruppi folk/rock come Pogues, Waterboys ecc ecc Detto questo, penso che nel nostro disco a parte il folk, tu possa trovare molte altre influenze: ovviamente il rock, un po’ di pop, un po’ di punk e senza dimenticare, perché no, la nostra tradizione cantautoriale melodica italiana.

Come nascono i testi, quali le basi a cui fate riferimento?

Roberto: In particolare, a dire il vero, nessuna. Nel senso che mi piacerebbe poter dire che mi ispiro a qualcuno e quel qualcuno sarebbero Enzo Jannacci, Francesco Guccini, Fabrizio De André Paolo Conte, persino il nonsense di Sergio Caputo o Rino Gaetano, la veemenza politica di Stratos e degli Area. Ma davvero sarebbe eccessivo mettersi accanto a nomi e talenti del genere. In realtà non sono un autore educato, per un sacco di tempo ho pensato che non sarei mai riuscito a mettere insieme le parole necessarie per un intero album. Poi mi sono lanciato. Ho messo insieme un po’ di sociale, di osservazione della circostante realtà e quindi di politico. E roba mia personale, irriferibile. In larga parte è psicoterapia messa in musica. Molto spontanea. La maggior parte dei testi è venuta fuori nel giro di ore, se non davvero minuti. Ecco: vorrei essere Dave Matthews o David Byrne, che nei testi mettono interi ragionamenti, piegandoli poi alla musicalità, senza preoccuparsi di rime e strutture.

Siete un quintetto come vengono ripartiti i compiti, non si corre il rischio di creare confusione nelle idee?

No: penso che siamo riusciti a ripartire perfettamente i nostri compiti senza creare nessuna confusione. Io scrivo i brani e poi preparo dei provini, già con un primo arrangiamento, che vengono cantati poi da Roby il quale si occupa interamente dei testi. Successivamente si inizia a provare i brani nuovi e ognuno mette del suo dando uno sviluppo ulteriore alla canzone fino ad arrivare a quello definitivo.

Alex: Poi per esempio c’è chi si è occupato delle grafiche e del video (Christian e Alessandro, la nostra sezione ritmica), c’è chi ha seguito tutto lo sviluppo dell’editing del disco (io e Mariela la violinista). Siamo una “ditta” avviata ormai….

Roberto: Esatto. Per quel che concerne la parte più propriamente compositiva magari io e Alex discutiamo e ci scontriamo, ma siamo ormai una macchina, siamo abituati a lavorare e incazzarci spalla a spalla, quindi infine tutto risulta fluido.

Questo lavoro rappresenta il vostro esordio, cosa vi aspettate?

Alex: Che dire…immagino quello che si aspettano tutti i gruppi del mondo no? Un po’ più di visibilità e che il nostro disco circoli sempre di più. Se consideri comunque che il disco è uscito solo il 21 Luglio scorso e che abbiamo ottenuto parecchie recensioni (fortunatamente quasi tutte più che positive), un po’ di passaggi radio, interviste ecc ecc non possiamo che essere soddisfatti. Quindi siamo fiduciosi e vediamo cosa succederà nei prossimi mesi. Roberto: Vogliamo suonare allo Shea Stadium come i Beatles e i Clash. Ma anche il Palasesto va bene. Sarà ancora aperto?

Quali i vostri padri musicali?

Roberto: Un’infinità. Ascoltiamo veramente di tutto, dal folk puro al rock ‘n’ roll anni Sessanta e Settanta, al punk estremo; alla classica e al jazz – personalmente adoro l’hardcore italiano anni Ottanta – passando per la tradizione dei cantautori italiani e una vagonata di heavy metal. Siamo perciò di padre incerto, ci auguriamo solo da questo punto di vista. Qui, nel disco, forse spicca più il folk-rock (Urban folk, definizione coniata da A Buzz Supreme, ci piace moltissimo) ma fra una traccia e l’altra non è difficile ritrovare un tocco di metallo, in pratica una cromatura, o di punk. Chiaro che quando componi devi trovare un canone stilistico che non solo ti piaccia, ma sia nelle tue corde. E questo è quel che ci pareva adatto.

Chi era il Signor Rossi, un doveroso tributo?

Roberto: Il Signor Rossi si chiama in realtà Kees Popinga ed è il protagonista di un racconto che ho molto amato, L’uomo che guardava passare i treni, di Georges Simenon. Ovviamente qui la sua figura è rielaborata, rivista, filtrata, deformata, però il punto di partenza è lui. E c’è Dylan Dog coi suoi incubi. Ai tempi della composizione, che è arcaica, era lì solo perché suonava bene. Ma il nostro bassista Ale Muscillo e anche la sua compagna, conosciuti molto dopo, sono illustratori per Bonelli Editore. Adesso quando canto quel pezzo penso a loro: quindi è stata una premonizione. Per azzeccare i numeri del superenalotto tuttavia chiedo 4,56 euro al minuto più Iva e scatto alla risposta.

Cosa vi domandereste?

Roberto: Una cosa che non ci hanno mai chiesto e che però in corso di lavorazione mi son chiesto io è cosa significhi impegnarsi in un debutto discografico a 40 anni suonati; perché lo si faccia. E la risposta è che intanto questa esperienza può esser d’esempio a chi, inconsciamente o meno, si trova “troppo vecchio” per qualcosa e non fa più tentativi, non coltiva più sogni né impegni. Per dirla con la PFM, insomma, “si può fare”. Si può fare sempre. Quasi qualsiasi cosa. E coi capelli radi e grigi è persin più bello. Non rischi di mandare tutto a catafascio per sciocchi personalismi ed egoismi infantili, la vita ti ha insegnato un minimo di disciplina e senso del sacrificio. In più hai acquisito nei confronti delle cose una certa obiettività, la “giusta distanza”, che ti permette di osservare tutto freddamente senza costruirti, chimere di stardom; e fare qualcosa per il gusto di farlo. Alla fine, anche interviste come questa ti consentono di dire che il traguardo lo hai colto. Dopo una lunga corsa. E d’altra parte la maratona, perché questa è la lavorazione di un disco, è uno sport per gente matura e divenuta paziente.

Lavori in corso?

Ebbene sì, abbiamo già in cantiere un altro lavoro e abbiamo persino un’idea del titolo oltre ad alcuni brani. Resta solo da lavorare, incidere, uff, tutte quelle menate da studio che affascinano Alex e che io ritengo invece un male inevitabile. Però le prime bozze ci lasciano già abbastanza soddisfatti e soprattutto con il desiderio di mettere tutto in pratica e in scena dal vivo. Anche perché alcuni pezzi, per banale che questa affermazione possa sembrare, paiono pensati per una dimensione tipicamente live.

Il Live alla fine è quello che ti dà realmente l’idea della bontà del lavoro che fai, sia quando fai cover – specie se le reinterpreti in modo il più possibile originale come noi si è fatto nella nostra vita precedente e parallela – sia ancor più quando suoni roba tua. E dobbiamo sinceramente dire che per ora l’apprezzamento è stato piuttosto generalizzato, anche di fronte ad audience che non s’aspettavano magari una proposta originale. Il sudore del palco, il fumo in faccia e gli applausi; la gente che ti chiede dove può trovare il disco (e casualmente ne hai una copia a portata di mano):

Questa è vita.

Foto: Ufficio Stampa

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