I Casa si affacciano sul mercato con un nuovo lavoro, Un giorno il mio principe verrà (Dischi Obliqui – 2009).

Incontriamo Ivo Tescaro, batterista del gruppo, per raccontare il loro terzo album che, sulla linea comunicativa del cantautore inglese Nick Drake, rileva le tracce di un amore (forse) perduto.

Un disco che suona nei meandri del rock sperimentale.

Ivo, quali i punti di partenza per questo nuovo capitolo dei Casa?

Il cambio della sezione ritmica con il sottoscritto e Filippo ‘Fefè’ Gianello al basso ma, soprattutto, un’affezione condivisa da tutti e quattro i membri del gruppo per la musica capace di legittimare la propria esistenza.

La traccia di apertura del disco si intitola Nick Drake; perché avete scelto di omaggiare un cantautore di folk britannico?

Il riconoscimento postumo è un fatto che non piace a nessuno; il testo ipotizza perciò una realtà in cui è Drake a riempire gli stadi e non Luciano Ligabue.

Punto focale nella poetica di Drake è l’amore perduto; è forse questo il tema per spiegare il titolo Un giorno il mio principe verrà?

L’amore perduto e le polluzioni notturne alle quali è soggetto, con tutta probabilità, ogni sacerdote che scelga di rispettare il voto di castità imposto dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana.

Spiegati meglio…

Ian Dury ha forse sintetizzato un concetto analogo nei versi “You should never hold a candle/ If you don’t know where it’s been”.

Ripercorrendo la tracklist mi incuriosivano soprattutto 3 brani assai diversi tra loro: il primo è Padre Nostro/Motoraduno

Il pianoforte di Ian Lawrence Mistrorigo impreziosisce uno strumentale inizialmente concepito per chitarra e ocarina. Aggiungemmo basso e batteria e, a quel punto, l’ocarina girò i tacchi lasciandosi rimpiazzare senza troppe storie.

Kriya Yoga?

La collaborazione con Amaury Cambuzat, testa brillante degli Ulan Bator, è la maggiore responsabile di una divagazione ‘cosmica’ nell’universo della tecnica Yoga insegnata da Paramahansa Yogananda e diffusa in Europa da Roy Eugene Davis, dal quale il cantante e il chitarrista sono stati iniziati in un monastero umbro.

Una razza inferiore?

“La fattoria degli animali” di Orwell, al contrario: nel brano che hai nominato la specie umana è presa a pretesto per tracciare un impietoso ritratto di quella animale intenta, dalla notte dei tempi, a ruzzolarsi nel lerciume conducendo esistenze tutt’altro che attente all’igiene.

Un lavoro questo che spazia fra rock ed elettronica, differente perfino rispetto ai due eclettici album che lo precedono…

Beh, musica e testi sono alcune delle conseguenze possibili alle nostre vite.

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