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Un percorso artistico nato nel fenomeno del punk hard-core con i Negazione (band che riuscì ad affermarsi nel mondo del rock) e migrato, prima verso la musica Rap con i Messageri della Dopa e successivamente nella cultura delle atmosfere Blues.

Giovanni Pellino alias Neffa racconta il percorso artistico al nostro microfono.

Ripercorriamo con l’Artista dalle origini partenopee all’ultima fatica che lo ha visto come compositore delle colonna sonora di “Saturno Contro” per la regia di Ferzan Ozpetek.

Si parla di musica e riflessioni che spesso Neffa matura nei confronti del sociale.

Ripercorriamo il tuo percorso artistico che ti ha visto in una naturale successione di passaggi, prima in una Band orientata alla musica punk rock, i Negazione; successivamente un orientamento verso la musica soul ed infine il blues. La ritieni una naturale evoluzione?

Non lo so. Lo ritengo come una strada un pò tortuosa che forse andava percorsa. Verso i quindici anni io mi sentivo più di tutto un cantante, però forse non sentivo di avere la personalità per fare il cantante e mi misi alla batteria, un pò con gruppi un pò con esperienze occasionali. Ho suonato quasi tutti i generi.
Io sono sempre stato uno che amava la musica in tutti i suoi aspetti. Con il passare del tempo la batteria mi ha portato verso l’hard core perché mi piaceva sentivo vicino alla filosofia della persone che seguono quella scena. Così ho apprezzato anche la musica e l’ho suonata. Verso la fine degli anni ’80 la scena dell’hard core italiano si diresse verso l’hip hop quindi io entrai come batterista in un gruppo di Rap chiamati l’Isola Posse. A distanza di poco tempo rimasi solo io come strumentista e visto che il rap mi piaceva già dai tempi dell’hard core inizia a scrivere. I ragazzi mi hanno incoraggiato e quindi ho fatto rap.
Alla fine ci sono stati i Sangue Misto, poi l’Isola Posse, poi i miei dischi di Rapper e verso i trent’anni, dopo essermi compresso in varie forme, ho deciso di superare certi miei limiti caratteriali rispetto al canto e ho detto: “Basta. Adesso a trent’anni penso di avere tergiversato abbastanza. Mi dedicherò a quello che veramente più mi piace, che ho sempre sognato di fare”.
Io sono uno che come cultura proviene dal film “Blues Brothers” però anche dal rock psichedelico tipo Hendrix. Ho amato tantissimo il reggae, non solo Bob Marley ma tutta la scena giamaicana. Insomma quello che faccio adesso mi permette di esprimere un pò tutte le direzioni che posso prendere.
Il rap mi permetteva di fare solo una parte di quello che amavo, ero molto interessato anche alla registrazione usata in forma un pò alchemica quindi l’uso dei microfoni, di strumenti vintage. E’ stato spontaneo percorrere questa strada, come qualcuno saprà ho fatto tre dischi di quello che secondo me è il vero Neffa. C’è un numero di persone che vede in quello che faccio, adesso, non il vero Neffa. Ma sai colori e gusti non si discutono. Io posso solo cercare di essere veramente onesto nei confronti di quello che scrivo ed è quello che cerco di fare.

Ritieni che la musica blues e tutte le influenze del grande Gershwin abbiano dato vita a tutto quello che oggi ascoltiamo e chiamiamo “mondo delle contaminazioni”?

Hai detto una cosa abbastanza giusta. E’ avvenuto quando la musica classica ha incontrato la musica percussiva africana. Questo incontro si è verificato con Gershwin e un altro compositore molto moderno, Stravinskij.
Questo ha generato il Blues come musica popolare americana, per quanto poi il Blues ha una radice totalmente africana. Credo che nelle varie nazioni la musica blues o di matrice nera ha incontrato le diverse musiche popolari ed è nato poi il pop locale.
Per esempio quando senti Artisti italiani tipo la Pausini o Ramazzotti non è altro che la musica di matrice nera blues che fa l’amore sessuale con la musica popolare italiana e viene fuori il genere “Modugno”.

A mio avviso è la tradizione popolare di tutti. I diversi stati che sono stati fertilizzati da questo stile.
Il Blues è sicuramente la musica “madre”, se ci pensi a parte la musica sacra o la musica concreta, la matrice blues la trovi ovunque, quindi io non mi sottraggo a questo.

Com’è nata la tua collaborazione al film “Saturno contro” che ti vede alla firma della colonna sonora?

Mi dissero che la produzione del film, e in particolare Ferzan Ozpetek, aveva manifestato il desiderio di incontrarmi per capire se era possibile che io scrivessi le musiche del suo film.
C’è stato un primo incontro tra me e lui a Roma mentre già giravano. Lui mi chiese se sapevo usare l’orchestra ed io ho leggermente mentito dicendo di sì. In realtà dirigere l’orchestra è molto complesso. Ci vuole molta preparazione e io mi sono fatto affiancare da un collaboratore per garantire anche un migliore risultato.
Ferzan, nel senso buono della parola è stato un pò “pazzo” ad affidarmi questo lavoro. Io, da parte mia, sono stato abbastanza pazzo da accettare. Era un’occasione importante lavorare per un Autore così affermato e non so se per fortuna o come mai è le musiche sono abbastanza interessanti.
La cosa importante era accontentare il regista, la musica doveva piacere ma soprattutto a Ferzan. Mi chiedeva di accompagnare la musica alla sua creazione quindi ci voleva un certo rispetto per la sua opera. E’ stato entusiasta della canzone da cui poi sono nate tutte le orchestrazioni. Come qualcuno saprà la colonna sonora è andata molto bene e oltre ad esserci le mie musiche originali ci sono alcune canzoni che si sentono nel corso del film.

Durante il tuo percorso hai utilizzato diversi alias, perché allora firmi la colonna sonora con il tuo vero nome e cognome. Un ritorno alle origini?

Quando ero ragazzino forse per fuggire dalla mia condizione, forse perché mi sentivo stretto in quello che ero ho iniziato in mille modi a cercare la fuga dalla parte più naturale quindi inizia ad inventarmi nomignoli. Per dire, io oggi ho quarant’anni, mi trovo il corpo tatuato e se dovessi decidere di nuovo non rifarei i tatuaggi ma ce li ho. E’ la mia storia, allo stesso modo ai tempi il mio nome non mi piaceva, adesso penso che una cosa saggia per una persona di quarant’anni è di trovarsi in armonia con la propria personalità. Mi trovo in gentile disaccordo per una serie di cose che poi mi creano anche il materiale per scrivere le canzoni.
Se io fossi un tipo posato e tranquillo non scriverei, devo dire che appunto ai quaranta mi piace un aspetto naturale di me quindi anche il mio nome.

All’interno della colonna sonora c’è questa tua realizzazione dal titolo “Passione”. Un ritorno alle tue origini partenopee?

Io sono un grandissimo fan di Murolo e ne ho ascoltato tanto. L’ho scoperto quando avevo già quasi trent’anni e sono impazzito per lui, per questo repertorio napoletano classico. Mi piace molto anche una certa canzone popolare italiana, quella che cantavano Rascel, Claudio Villa, Modugno. Io ho tanto ascolto diversi Artisti della scena questa evidentemente ha influito sui miei lavori. Inoltre sapevo che Ferzan era interessato ad andare verso la direzione del tango quindi per scrivere del tango alla fine mi sono ritrovato a sondare la mia anima napoletana e la cosa è stata un successo, sia per me perché ho goduto a scrivere e cantare questo pezzo, sia per Ferzan che l’ha amato da subito. La parte più difficile l’ho affrontata quasi subito e una volta che sai che la base di una piramide è salda puoi costruire.

Pensi che in un futuro abbastanza prossimo potresti essere presente anche dietro la macchina da presa?

No, questo non lo penso assolutamente. Io sono un grande amante del cinema anche se non ne sono uno studioso ma solo uno che apprezza la forma d’arte. Capisco alcuni suoi meccanismi o cerco di capirli, però è un aspetto che non mi interessa più di tanto. Al contrario mi interessa ancora pensare alla possibilità di commentare le immagini con le musiche. Forse un altro aspetto che mi piacerebbe affrontare nel cinema ma trovando gli interlocutori giusti e non farlo da solo, scrivere soggetti, storie, quello sì.

La tua musica ha sempre un comune denominatore: un attento sguardo al sociale. Da dove nasce questa riflessione?

Non credo che tutti colgano questo aspetto perché io spesso parlo di sentimenti, di stati d’animo. Credo che nell’interscambio fra le persone ci sia il nucleo della nostra politica e della nostra socialità.
Sono cresciuto pensando che l’Arte è un’imitazione della vita. Non faccio arte, sono solo un artigiano, faccio manufatti, comunque si può imitare sia la realtà che la fuga dalla realtà. Mi fa piacere immaginare o far immaginare mentre scrivo che ci possa essere un approccio più umano e magico alla nostra vita soprattutto nella nostra vita di tutti i giorni. Credo che le evoluzioni nascono dalla testa delle persone per cui se tutti noi pensassimo veramente di poter migliorare la nostra vita dovremmo partire da ogni singolo individuo. Quando io scrivo cerco di immaginare una realtà possibile in cui veramente l’amore e il rispetto possano cambiare la vita delle persone.

In questi tempi in cui tutti dicono di aver sempre tanto da fare, in questa frenesia di vita quotidiana. A tuo avviso bisognerebbe sentirsi meno utili o meno inutili?

La mia teoria del sentirsi inutili è chiaramente una provocazione che ho espresso precedentemente proprio perché mi è capitato di incontrare nelle grandi città, quello che i media trasmettono. Bisogna essere assolutamente produttivi, ci sono un sacco di persone convinte che se loro non vanno a lavorare o non si svegliano un quarto d’ora prima il mondo non girerà più.
Che la gente avesse necessità di lavorare è sempre stata una realtà, però che noi avessimo necessità di diventare il nostro lavoro, credo che questo sia una vittoria di chi ha voluto che le cose andassero per questo verso. Alla fine produciamo merce, ma produciamo anche povertà, allarmi climatici nonché geopolitici quindi è vero che è tanto bello produrre tante piccole cose che poi ci vendiamo e ci compriamo. Però se si pensasse veramente al bisogno primario delle persone, che è quello di avere una vita appagante e di tracciare una strada resistente per i nostri figli, questo sarebbe un obiettivo molto più importante. Le società dovrebbero avere un solo obbiettivo, la felicità degli individui.

Ascolta intervista audio.

5 thoughts on “Intervista a Neffa”
  1. HO CONOSCIUTO NEFFA DI

    HO CONOSCIUTO NEFFA DI PERSONA E TROVO KE SI CONTRADDICA SU TANTI ASPETTI…SENSIBILE?MA DOVE?UN ARTISTA DEVE SAPER SCRIVERE CANZONI SENZA DOVER VIVERE LE SITUAZIONI,MA SAPERLE VIVERE ATTRAVERSO I SENTIMENTI DEL PROSSIMO,IMMEDESIMANDOSI NEGLI STATI D’ANIMO ALTRUI.SOLO ALLORA SI PUò DIRE VERAMENTE D’ESSERE UN ARTISTA,ARTIGIANO,ECC. ECC. KE SI DEFINISCA PURE COME VUOLE. TANTO è UN FINTO ARTISTA E PURE UN FALSO SENZA SENSIBILITA’ CHE SCRIVE CANZONI FERENDO IL PROSSIMO.E SOLO COSI TROVA LE ISPIRAZIONI PER PRODURRE CD.POVERINO..

    1. possiamo dire che dopo il cd
      possiamo dire che dopo il cd “chicopisco” in ogni album succcessivo quando andava bene se ne salvavano 4. ne ultimo cd “sognando contromano” solo le prime 2 sono discrete, le altre… fate voi.

  2. Hola! para mi Neffa es un
    Hola! para mi Neffa es un gran artista italiano, con una personalidad unica. Estoy muy alucinada cada vez que lo escucho, ya que mueve en mi emociones muy grandes. El es real, y ademas como es ya un hombre ademas, tengo muchas ganas de conocerlo personalmente. Me gustaria que alguien me diga de sus recitales quando los hara?. Un saludo para todos. Daniela

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