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Il compositore partenopeo, dopo il successo della sua collaborazione con Monicelli, torna con un’audace ‘trasfigurazione’ di brani classici, da Bach a Vivaldi passando per Mozart e Orff.

Incontriamo Vito Ranucci per raccontare come la musica non subisca il logorio del tempo, bentrovato. Innanzitutto, solo la Grande Musica non subisce il logorio del tempo! Ai giorni nostri siamo abituati a posizionarci di fronte alla Musica come ci poniamo al supermercato di fronte alle scatolette, e ormai questo riguarda sia i “consumatori” che i produttori di Musica. Ma è inevitabile che, se la qualità dei prodotti scende sempre più in basso, e la reperibilità è totale e gratuita, si vada formando un monopolio drogato esercitato da un pubblico che, solo per avere la possibilità di accedere gratuitamente a certi contenuti, se ne sente proprietario, e quindi tratta con indifferenza e sufficienza ciò che in realtà non riuscirebbe a comprendere in tutta una vita, soltanto perché ciò si rende reperibile in pochi “click” nel suo computer o telefonino. Ma tra tante cose effettivamente fungibili, e spazzature mediatiche, stiamo facendo passare anche l’Arte, la Storia, che fino a poco fa animavano il fuoco della cultura e del progresso. Oggi, (in Italia) sembra che basti possedere un qualsiasi aggeggio da connessione per essere a tempo con il mondo, per cavalcare il progresso (?). Sappiamo bene, e sono proprio il marketing ed il consumismo ad insegnarcelo, che quando l’offerta supera la domanda, il prodotto viene deprezzato fino a non valere più nulla. Se trattiamo l’arte, la musica, alla stregua dei prodotti da banco, se guardiamo solo il livello più esteriore delle cose perché abbiamo fretta di passare subito ad altro, allora siamo una società che non riflette, non medita, e non cresce, perché troppo impegnata a non perdersi il prossimo messaggio, notizia, faccina, evento, mp3, etc. É un atteggiamento sociale che riguarda la Musica, ma tanti altri ambiti, dalla cultura, alla politica, la vita.

Con quale aspetto ti sei posto difronte alla reinterpretazione di musica classica?

In realtà lo stimolo nasce proprio dalla riflessione precedente. Se oggi guardiamo solo all’immagine, al brand, allora rischiamo di confondere la Musica di Bach e Vivaldi con l’immagine stereotipata che la televisione e i media eventualmente ci rimandano di essa. Le nuove e future generazioni non hanno vissuto nel ‘900, non hanno nessun background culturale a riguardo al di fuori di ciò con cui si scontrano su internet e in tv. Qualcuno solo sentendo nominare Bach, immaginerebbe subito un parrucchino bianco e forse un clavicembalo, alcuni altri, immaginano un viaggio trascendentale nell’Anima, nella Vita, in Dio. Killing the Classics si pone a metà tra queste due visioni: colta-consapevole & ignorante-pop.

A tuo avviso per quale motivo la musica non subisce il logorio del tempo?

La Musica ha un’anima ed un’estetica. La prima più impalpabile della seconda. Quando una Musica nasce da una vera urgenza espressiva, da un profondo approccio interiore da parte del compositore, può vestire qualsiasi abito, la sua centralità non si disperde, si trasfigura, ma continua ad esistere, è impregnata della sua essenza primordiale. Diversamente la musica nata in funzione delle mode del momento, passa insieme alle mode e dura solo per un momento.

Come è stata scelta la selezione?

Sono brani che amavo, a prescindere da tutto, e che si prestavano all’operazione che stavo compiendo grazie ad una serie di aspetti caratteristici che ben sposavano il mio settagio mentale e tecnico.

Alcune partiture sono state totalmente riscritte, quali le difficoltà?

Nessuna difficoltà. I brani antichi, come ad esempio i Carmina Cantabrigensia, hanno una natura che si presta molto alla riscrittura, e talvolta al delirio modale o psichedelico.

Raccontami della tua collaborazione con il regista Monicelli?

Squilla il telefono… Monicelli, il più importante Maestro del Cinema Neorealista trova una incredibile sintonia tra un mio brano appena pubblicato Cala ‘a sera ed il su ultimo film appena montato Le Rose del deserto, e vuole utilizzare la mia musica come tema principale del film. Il resto è storia, e non sono certo io, a dover raccontare chi era Mario Monicelli, e cosa poteva significare lavorare con lui, tuttavia c’è da dire che naturalmente quella collaborazione è stata una delle più grandi e rare opportunità di crescita per la mia vita, e di grande entusiasmo pure. Intanto nasceva anche la mia adorata figlia, quindi gioie e soddisfazioni incommensurabili nel giro di pochi giorni. Momenti di raccolta, dopo anni di semina.

Foto: ufficio Stampa

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