Nella nutrita scena indes italiana incontriamo i Plastic Siorai con Paola Cuniberti (voce) per raccontare del primo lavoro dal titolo 001. Disco prodotto artisticamente da Vicio dei Subsonica.

Quale progetto si vuole rivelare con questa affermazione: “Raccontano l’amore, il loro amore.

Raccontano ciò che le persone non vogliono sentire. Si raccontano”?

I brani interni a 001 trattano di argomenti disparati, dall’amore, all’ipocrisia, passando per i soprusi, i sogni e la follia. Ci sono “storie” che è bello raccontare, altre invece decisamente più scomode, di cui si preferisce non parlare. Mi guardo intorno (oltre che dentro me stessa e dentro i Plastic Siorai) e raccolgo ciò che i miei sensi riescono a percepire, li metto su carta e poi li canto. Il problema è che siamo in un momento socialmente complicato e non è semplice riuscire a sorridere cantando. Senza ipocrisie, non temiamo l’esposizione.

Un progetto che fonde musica elettronica, infiltrazioni di cultura new wave e voce dalle timbriche “calde” più vicina alla cultura pop. Come si coniugano questi elementi?

Si coniugano grazie alle nostre teste.  Pur ascoltandoci a vicenda cerchiamo di non scendere a compromessi con le nostre tendenze artistiche e i nostri ascolti quotidiani.
Ci stiamo influenzando molto. I Plastic Siorai sono in continua e costante evoluzione, i brani che completeranno il disco (all’interno del quale inseriremo anche alcuni brani di 001, completamente ri-registrati e ri-prodotti da Vicio) sono il risultato di due anni di lavoro, discussioni, confronti e maturazione.
Rispetto ai riscontri di pubblico e addetti ai lavori abbiamo capito che il fatto di non cercare “un genere vero e proprio” non è uno svantaggio, perciò cercheremo di procedere in questa direzione.

Un lavoro il vostro scritto di getto. Questo ha dato un maggiore accento nel carattere emotivo del lavoro?

Questa prima fase Plastic Siorai è caratterizzata da una scrittura in varie fasi. Davide (bassista) realizza in casa delle basi complete, batterie campionate, bassi, chitarre, synth, effetti etc..
Alle ore più improbabili mi invia un remix delle basi su cui io scrivo linea melodica e solitamente anche testo.
In terza battuta passa nelle mani di Manuele (batterista) che aggiusta i livelli e mette a posto il beat e infine passa a Vicio (nostro produttore artistico) che arrotonda il tutto. Infine in sala arrangiamo il tutto per il live. La scrittura di getto è data dall’ispirazione che nasce quasi istantanea, ma in realtà il lavoro dietro è abbastanza lungo e articolato.

Il disco 001 ha numerose infiltrazioni sonore ma guarda anche allo stile partenopeo ed innovativo come quello cantato da Meg?

Noi siamo molto orgogliosi di aver suonato dopo il suo live all’Hiroshima Mon Amour (Torino), ma in realtà non ci ispiriamo molto al suo lavoro in fase di scrittura. Stimo molto Meg, sia come autrice che come interprete, ma le nostre inflessioni sono differenti, più scure e più legate a sonorità che ci tenevano compagnia quando eravamo ancora all’asilo (siamo tutti e tre figli degli anni ‘80). I legami con l’elettronica vera e propria sono meno diretti.

Quando vi siete incontrati, come avete iniziato a condividere questa passione?

Io e Davide siamo stati presentati da un amico in comune e abbiamo iniziato proprio come ti ho raccontato. Mi ha lasciato un cd con piccoli embrioni di ciò che ora sono diventati le tracks di 001 e da lì abbiamo cominciato la nostra avventura. Dopo un po’ di mesi abbiamo coinvolto Manuele ed è cominciata cosi l’esperienza live.

Parliamo di Riflesso il primo singolo. Un disco che non frena le emozioni?

Riflesso cerca di raccontare quella sensazione che si prova di fronte alla presa di coscienza, rispetto ad una storia d’amore o ad un’amicizia.
Quando ti rendi conto che sei dipendente da una persona, da un’emozione, da uno sguardo e cerchi di liberartene. Quella sottile linea tra la dipendenza e la separazione, quando si cerca il distacco, pur cercando di non cancellare il ricordo.

Plastic Siorai un nome che trova la sua fonte d’ispirazione?

Assolutamente sì. Il nome è uno dei muri insormontabili per le band. Noi all’iniziamo eravamo due. Diversi in tutto. Dovevamo trovare un nome che ci racchiudesse e abbiamo deciso di scegliere un termine a testa. Davide ha optato per Plastic, per sottolineare la sua intenzione musicale in questo progetto, quella parte sintetica, quasi finta.
Io amo l’Irlanda e ho scelto Siorai che significa seta/infinito in Gaelico. Plastic Siorai racchiude perfettamente le nostre due anime. Con l’avvento di Manuele ci siamo definitivamente formati dando a Plastic Siorai l’intenzione che abbiamo ora.

Un comment a “Intervista a Plastic Siorai: suoni italiani per “001””

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