Un lavoro che prende ispirazione dai giochi semplici che i bambini imparano dalle tradizioni popolari. I Sulutumana nati come cover band nel loro nuovo lavoro “Arimo” lanciano chiari messaggi mirati al guardarsi dentro, ad analizzare il proprio percorso di vita.

Incontriamo Giamba Galli di Sulutamana per parlare di questo lavoro che risulta avere un notevole impatto emotivo per gli amanti della musica d’autore.

Un lavoro che invita alla riflessione sul proprio percorso di vita?

Arimo è un invito a fermarsi a riflettere per poi organizzare una ripartenza consapevole. Viviamo in un mondo e in un modo in cui riflettere e prendere tempo sono diventati un lusso, un lusso che noi abbiamo deciso di prenderci, dato che ne abbiamo sentito la necessità. Il percorso del gruppo era ad un bivio a causa del fatto che uno dei fondatori non ha più fatto parte della formazione, per questo abbiamo ritenuto saggio e doveroso fare il punto della situazione, chiarire per bene chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare.

In “Arimo” sembra far da protagonista l’esperienza e soprattutto l’istinto dei fanciulli?

E’ vero, il concetto di esperienza abbinato all’infanzia è di per sè un controsenso, tuttavia c’è una saggezza ingenua ed istintiva nei bambini della quale noi grandi faremmo bene a tener conto, se non altro per ricordarci di essere stati bambini a nostra volta e per trovare la lunghezza d’onda ideale per comunicare col mondo dei nostri figli.

Dove nasce il vostro progetto?

Il nostro progetto nasce in un luogo fisico geografico situato tra i due rami del lago di Como, nel territorio denominato Triangolo Lariano, all’approssimarsi delle Prealpi, circondati da piccoli laghi, spazi verdi che resistono ancora, e speriamo ancora per molto, alla bruttura della cementificazione. A volte ci sembra di vivere in un’area protetta lontana dalla metropoli, poi magari volgi lo sguardo da un’altra parte e ti accorgi di essere stato inghiottito da una specie di periferia infinita. Da un punto di vista artistico, invece, il nostro progetto nasce dalla comune passione per la musica in generale e per la canzone in particolare: suoni e parole raccontano quello che la nostra natura ci spinge a descrivere, ovvero sentimenti, passioni, stati d’animo, ma anche e soprattutto luoghi e personaggi reali o di fantasia che premono per venire a galla ed essere raccontati.

Guardando al passato, alle vostre prime esibizioni quali erano gli artisti a cui rendevate omaggio attraverso le cover?

Siamo figli degli chansonnieres francesi e dei cantautori italiani, e nipoti della canzone popolare, che è la prima che ci siamo divertiti ad ascoltare da bambini e poi a riproporre da grandi. Abbiamo girovagato nel repertorio di De Andrè, Guccini, Dalla, De Gregori, Fossati, Conte… Tanto per fare qualche nome. E’ però importante dire che la nostra musica è frutto di un contagio che deriva dall’ascolto di tanti generi anche molto diversi tra loro: classica e rock, folk e jazz, afro e balcanica e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo ci ha creato paradossalmente un handicap non da poco: nel dover attribuire un genere specifico alla nostra musica non sappiamo che pesci pigliare! E il giornalista di turno pensa tra sè e sè: “Questi non sanno manco che genere fanno!”

Riprendendo una vostra traccia da “Arimo”. Chi è appeso alla luna?

Appeso per la luna è chi, in compagnia della propria solitudine, se ne sta ad osservare il mondo da una certa distanza, per poter scovare in tanto caos un ordine misterioso, per scoprire che c’è della magia anche nelle miserie degli uomini. Stare appeso per la luna deve essere certamente una condizione temporanea, la voglia di rituffarsi nella mischia è indispensabile e salubre.

Cosa è rimasto del vostro precedente nome Semisuite?

Del nostro precedente nome è rimasta una canzone di Tom Waits intitolata appunto Semisuite, che ci ha dato lo stimolo a continuare e ci ha aiutato a ritrovare la strada e il nostro vero nome.

Numerose le apparizioni fra festival e teatri quale la differenza fra questi differenti luoghi?

Il Teatro è un luogo di grande fascino e suggestione, è senza dubbio il contesto migliore all’interno del quale proporre il proprio linguaggio creativo e creare un filo diretto con il pubblico. L’atto della messa in scena riserva sempre emozioni inaspettate e sorprendenti anche per noi che ne siamo gli artefici, è un luogo magico e sacro allo stesso tempo, che permette di ottenere una sospensione dal tempo e dalla quotidianità, è una forma di arricchimento indispensabile per lo spirito. I festival sono dei contenitori di proposte di qualità e si possono paragonare ad una mostra: tante opere e tanti artsti insieme creano un itinerario nel quale lo spettatore si muove incuriosito, stimolato da proposte diverse tra loro, e si diverte a trovare un proprio personalissimo filo conduttore e a scegliere tra le proposte che più lo appassionano. Nel festival l’elemento più importante per gli artisti che vi prendono parte è senza dubbio costituito dall’incontro e dal confronto con gli altri artisti, ogni volta che abbiamo partecipato ad un festival ci siamo riportati a casa spunti interessanti e idee nate da incontri, discussioni e condivisioni di palco con altri musicisti.

Per quanto riguarda l’inno alla Pace delle Olimpiadi 2004. Quali ricordi?

L’inno alla pace che abbiamo composto in occasione dei Giochi Olimpici di Atene 2004 si intitola Antemare, ed è stato composto prendendo spunto dalle Metamorfosi di Ovidio. Ne è uscito un brano di grande impatto sonoro che ha superato la barriera della comprensione linguistica nei luoghi dove il pubblico non conosce l’Italiano, e questo per noi era fondamentale. Grazie alla realizzazione di questo brano, nell’estate 2004 abbiamo avuto la fortuna di fare una tournee stupenda lungo alcuni dei principali porti del mediterraneo: Taranto, Crotone, Larnaka (Cipro), Alessandria d’Egitto, Atene. E’ una di quelle esperienze che non si dimenticano e che danno un senso profondo a ciò che si fa; ne siamo certamente orgogliosi, perchè siamo convinti che lo sport e l’arte siano elementi fondamentali per la cultura dei popoli e veicoli di pace di straordinaria efficacia.

Una curiosità il Premio Tenco vi assegna la targa come “Artista Inedito”. Cosa ha rappresentato per voi?

Il riconoscimento del Premio Tenco è stato per noi una sorta di battesimo e di consacrazione. Abbiamo sempre seguito con interesse le rassegne del Club Tenco e le performances degli artisti che vi hanno preso parte dagli anni settanta ad oggi. La notizia di un premio per i Sulutumana che arivasse proprio dal Club Tenco ci ha entusiasmato e sorpreso, ed è stato come inserire il turbo alla nostra vocazione di musicisti e compositori. L’assegnazione di quel premio ci ha stimolato a continuare la strada da poco intrapresa, da quel momento è cominciata una storia fatta di concerti (più di 600!) e di pubblicazioni discografiche (12 in otto anni!); una storia certamente non priva di difficoltà, e comunque avventurosa e bellissima. L’unico rammarico, non da poco, è che dal 2000 ad oggi al Tenco non ci siamo più tornati! Speriamo che quest’anno…magari…chissà?

Quali sono gli ascoltatori dei Sulutumana. Un ascolto più maturo?

I nostri ascoltatori sono trasversali per età, formazione culturale, orientamento politico e credo religioso; come riteniamo sia giusto essere. Vogliamo che la nostra musica possa arrivare a tutti senza distinzioni, anche perchè desideriamo ardentemente vendere milioni di copie dei nostri cd e perciò ci guardiamo bene dal definirci “di nicchia”. Non è una questione ideologica quanto una banale considerazione basata sul tornaconto personale. Si scrive una canzone nella speranza che venga ascoltata dal maggior numero possibile di persone. Detto questo non siamo disposti a snaturare il nostro linguaggio artistico e la nostra identità sonora in funzione di un arricchimento economico, e sappiamo che il pubblico apprezza questa scelta. Insomma, va bene il compromesso, però guardandoci allo specchio dobbiamo poterci riconoscere, sempre e comunque. Tornando a parlare del nostro pubblico diremmo che l’aggettivo corretto per definirlo è consapevole. Infatti dai bambini ai giovani, dagli adulti agli anziani, chi viene ad un concerto dei Sulu, più che assistere al concerto stesso vi partecipa, si sente coinvolto e contagiato. Non c’è bisogno di una preparazione particolare, si può passare di lì per caso senza nemmeno sapere chi c’è sul palco e il più delle volte l’atmosfera che c’è intorno rapisce l’ignaro viandante e finisce con l’aggregarlo al resto dei presenti. Il nostro pubblico ama cercare ciò che gli piace e non accetta di buon grado i “cibi preconfezionati” imposti da tv e radio, è un pubblico curioso e libero. Il pubblico maturo necessita alla musica colta, noi facciamo canzoni e siamo felicissimi di avere un pubblico semplicemente consapevole.

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