fiorella-mannoia-11-08.jpg

Da poco è stato pubblicato il suo nuovo album, Il movimento del dare, e al microfono di Patrizio LONGO ritorna uno degli interpreti più apprezzati della scena italiana: Fiorella Mannoia! Bentrovata Fiorella!

Ciao! Bentrovato anche a te, buongiorno a tutti!

Ci rivediamo, a distanza di un anno dal nostro ultimo incontro, per parlare de Il movimento del dare. È questo il titolo del tuo ultimo lavoro, in un periodo politico sociale dai forti cambiamenti. Soprattutto politici, me ne darai atto. Fiorella Mannoia crea un movimento, soprattutto morale?

Sì, certo, soprattutto morale. Mi sono ispirata alla canzone di Battiato e Sgalambro che s’intitola, appunto, Il movimento del dare. Loro si sono ispirati al movimento che fanno le rose quando sbocciano: c’è come un’apertura, come un atto di generosità, in cui il fiore si apre come a dare – donare, regalare – bellezza, profumo, una sorta di atto di generosità della natura. Io ho immaginato questo gesto riportato agli umani. Come si evince dalla copertina del disco, in cui mi sono lasciata ritrarre con le mani aperte, in segno di generosità, nell’atto di donare. Perché mi sembra che in un momento delicato come quello in cui stiamo vivendo, in cui siamo pieni di paure, di insicurezze, di incertezze, di egoismo, siamo tendenzialmente portati a prendere e – soprattutto – a pretendere tutto e subito, e ci siamo dimenticati l’atto di donare. Forse, a volte, ricordarci che dare è meglio che ricevere non ci fa tanto male.

Forse è anche un messaggio di solidarietà quello che lanci, riguardante un concetto – quello del dare – oggi è un po’ trascurato?

È appunto quello di cui stavo parlando: in questo momento ci riempiono di paure di ogni genere. Sembra che sia stato istituito un ministero della paura, come diceva Antonio Albanese in un bellissimo spettacolo in cui lui interpretava, appunto, un ipotetico ministro della paura. Non è andato tanto lontano, in realtà. Io credo che questo ministero sia stato istituito anche se non ce lo dicono. Un ministero ombra, ma che esiste: c’è qualcuno che decide a tavolino quale paura cavalcare, e periodicamente ce ne propina una. C’è stato il periodo della paura dei rumeni, e tutti i media, ogni giorno, mostravano un rumeno pericoloso, ed ecco la fobia del rumeno. Poi è stata la volta delle prostitute, e tutti i giornali e le tv parlavano come se le prostitute fossero il male di questa società, e allora via le prostitute dalla strada: occhio non vede, cuore non duole. E tutti addosso alle prostitute. Poi c’è stato il periodo dei cani cattivi, dei pitbull che azzannavano: tutti contro i cani. È un continuo farci vivere nella paura, e questo cavalcale le paure, anche legittime, delle persone, credo sia la cosa più vigliacca che si possa fare.

Fiorella Mannoia, al microfono di Patrizio LONGO. Abbiamo aperto il nostro incontro parlando de Il movimento del dare, ma tornando sul tema musicale: un album che vede il ritorno di Fiorella alla collaborazione con grandi compositori della musica italiana, tra cui  Franco Battiato, Tiziano Ferro, Lorenzo Jovanotti, Pino Daniele, Bungaro, ed il ritorno con Ivano Fossati e Piero Fabrizi, nel ruolo di scrittore e produttore. Quali differenze hai riscontrato, rispetto alla realizzazione del precedente lavoro Onda tropicale, in cui per un attimo hai rivolto lo sguardo verso il calore e la cultura latino-americani?

È completamente diverso: questo è un lavoro nostrano, fatto con persone italiane, che hanno un bagaglio culturale diverso da quello brasiliano. Lì ho fatto un incontro con una cultura diversa dalla nostra. È stata un esperienza importantissima, un’esperienza emozionante, che ha cambiato la mia vita non solo a livello musicale.

Come si coniugano, in questo lavoro, dei compositori apparentemente così distanti per cultura e per generazione. Due esempi abbastanza eclatanti: Lorenzo Jovanotti e Ivano Fossati, due generazioni diametralmente opposte?

Anche Tiziano Ferro, che è ancora più giovane.

Anche Tiziano Ferro, certo.

Penso che il confronto con gli altri sia un elisir di lunga vita. Anche con altri che hanno un’età diversa dalla tua, che proprio anagraficamente sono così distanti, con linguaggi diversi, con modi di scrittura diversi, con gusti musicali diversi. Questo lavoro vive solo di confronti e di scambi, perché ripetere se stesso all’infinito è la morte in questo mestiere. Se non ci si confronta con gli altri ci si annoia noi per primi. Quante volte capita di andare a vedere un cantante che amiamo e vederlo stanco? Vederlo sul palco senza quello stimolo, quella forza, quella voglia di fare questo mestiere. Credo che confrontandosi con gli altri si rifugga questo rischio, che è il più brutto e deleterio per noi. Confrontiamoci con gli altri, con tutti gi altri, anche con quelli in apparenza più distanti da noi. Io questo l’ho imparato molto con la frequentazione dei miei amici brasiliani. Loro mi hanno insegnato la leggerezza, non solo nel nostro lavoro ma nella vita in genere. Il prendersi un pò meno sul serio, ed il confrontarsi con tutti. Non importa se il linguaggio è diverso, se cambiano le scritture o i modi di interpretare la musica.

Il Cd è stato presentato dal singolo Io posso dire la mia sugli uomini, scritto da Luciano Ligabue. Quanto le canzoni scritte da altri “vestono” il tuo essere, abbracciano il tuo modo di vivere e la tua concezione di te?

Sempre! Io non posso cantare canzoni che non mi rappresentano, non ci riesco. Devo assumermi la responsabilità di quello che canto, e posso farlo solo se il testo è costituito da parole che io stessa penso. Per una mia visione della vita, del mondo, quando decido di interpretare una canzone questa mi deve rappresentare, a maggior ragione quando parlo in prima persona. Quando parlo dalla parte “femminile”. Ho sempre paura quando gli uomini scrivono n prima persona con le parole delle donne, perché temo sempre che non riescano ad addentrarsi abbastanza nel mondo femminile, che è molto complesso e molto difficile. È come se noi dovessimo scrivere una canzone pensando di parlare con le parole di un uomo.
Quando questo succede mi lascia sempre molto perplessa, e senza parole, perché devo ammettere che gli uomini a volte… non sempre, ma a volte… riescono a scandagliare l’animo femminile meglio delle donne stesse. Questo è accaduto con Enrico Ruggeri vent’anni fa con Quello che le donne non dicono e si è ripetuto, caso strano della vita, vent’anni dopo con una canzone che sembra il rovescio della stessa medaglia, che è quella di Ligabue Io posso dire la mia sugli uomini.

A proposito di questa strana coincidenza: canzoni scritte da uomini, ma che parlano di donne e sono interpretate dalle donne stesse. Un mix di letture e riletture di emozioni?

Sì, è quello di cui stavo parlando. Questo è il rovescio della stessa medaglia di vent’anni fa, della canzone di Ruggeri. Io mi trovo ad interpretare una canzone così caratterizzante il mondo femminile, scritta da un uomo, che mi ha lasciato lo stesso stupore. La mia reazione è stata la stessa di vent’anni fa: stupore e ammirazione. Perché uno deve ascoltarle le donne, deve amarle, per scrivere una canzone come questa.

È un periodo di grande lavoro, per te: un lungo periodo fortunato, iniziato probabilmente nel 2004 con le collaborazioni con Pino Daniele, Fossati, Ron, De Gregori. Poi la raccolta dei live, il lavoro Onda tropicale, la raccolta dei best, ed infine questo nuovo lavoro di cui stiamo parlando, Il movimento del dare. Quando si lavora con tanta partecipazione, si perde la concezione del tempo. Il tempo vola?

Quando fai una cosa che ti piace, quando coltivi una passione, quando fai un lavoro che ti appassiona il tempo vola. Non te ne accorgi. Il tempo non passa mai quando, purtroppo, le persone sono costrette a fare lavori che non amano. Ma per persone privilegiate come noi, che hanno a che fare con la musica, che hanno avuto la fortuna di fare un mestiere così bello, certo che il tempo vola e non te ne accorgi. Sono passati sette anni dall’ultimo inedito, ma io non me ne sono accorta, in realtà: sono volati.

Prima di salutarci, in apertura del nostro incontro affermavamo che sei considerata tra le più brillanti interpreti della musica italiana. Durante questo lungo percorso, numerose le firme a cui hai dato interpretazione, ma non hai mai pensato di scrivere una canzone tua?

Sì, ci ho pensato diverse volte, e mi è capitato di viverla come una mancanza, ma poi mi sono appropriata con orgoglio del mio ruolo di interprete. Perché se è vero che non scrivo le canzoni che canto, è vero anche che a volte, quando mi riesce, riesco a riportare alla luce canzoni immeritatamente dimenticate, o a riportarle alla memoria della gente. Credo che scrivere una canzone non sia difficile… sono capaci tutti di scrivere una canzone, no?

Ecco, questo credo che sia un tuo punto di vista?

No, io credo che sia facile… dipende da cosa vuoi cantare. Dipende se ti accontenti di quello che scrivi. Io non mi accontento di quello che scrivo, perché come non amo cantare le banalità degli altri, tanto meno riesco a cantare le mie. Siccome penso che scrivere sia un dote, che ci vuole talento per scrivere. Francesco De Gregori ha scritto Rimmel a 18, 19 anni. Questo è un talento, non si inventa, non si recupera col tempo: o ce l’hai, e allora lo affini, lo perfezioni, e continui nella ricerca e scriverai sempre meglio, o altrimenti non credo che dall’oggi al domani uno si alza e scrive una canzone così. Io sono abituata, nel mio piccolo, a cantare canzoni che danno una profondità che io non riesco a dare.

Grazie a Fiorella Mannoia per essersi raccontata!

Grazie a voi!

Alla prossima, Fiorella, in bocca al lupo per tutto!

Arrivederci! Grazie, anche a voi! Ciao!

Ascolta intervista audio.

Cosa ne pensi?

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.