La musica come tutte le arti esprime e racconta attraverso le note gli aspetti più profondi dei nostri sentimenti. Davide Pilla ha voluta tracciare il percorso di una fra le più interessanti band dello scenario italiano i Baustelle. Un viaggio attraverso «Un’assurda specie di preghiera che sembra quasi amore».

Queste le parole che dalla copertina meglio descrivono il libro di Paola Jachia e Davide Pilla: I Baustelle Mistici dell’Occidente (2011 – Ancora Editrice).

Al microfono di Patrizio Longo incontriamo Davide Pilla, bentrovato. Un viaggio mistico nella terra del consumismo?

In poche parole, direi di sì. Una delle cose più interessanti e non prevista è che il nostro lavoro di analisi, di “scavo”, ha portato alla luce una storia. La storia di un viaggio, di un percorso di maturazione assimilabile a quello dei romanzi di formazione. Questo percorso ha origine da un’adolescenza assolutamente italiana e provinciale ma allo stesso tempo devastata dall’impatto folgorante che possono avere certi miti appartenenti ad un immaginario letterario e cinematografico, prosegue attraverso una successiva maturazione e un forte scontro con la società occidentale in cui domina “il mal di vivere” e i seguenti tentativi per uscirne vivi, per raggiungere “la salvezza”: allontanarsi da questa realtà fisicamente, come può essere un viaggio in Africa, un viaggio verso una realtà dove certi meccanismi tipici dell’Occidente non sono ancora consolidati, o, come proposto nell’ultimo discorso, elevarsi, raggiungere il distacco spirituale attraverso una sorta di misticismo non strettamente religioso. Questa in estrema sintesi la storia raccontata dai Baustelle attraverso i cinque dischi. Una riflessione estremamente importante sulla deriva della nostra società che sta perdendo di vista certi valori di umanità in nome di una logica sempre più spietata del profitto.

Il libro è stato scritto con Paola Jachia come avete ripartito il lavoro?

Io, data la mia conoscenza quasi maniacale dell’opera dei Baustelle, mi sono occupato di preparare i primi cinque capitoli, dedicati rispettivamente ad ognuno dei cinque album che compongono la discografia (escludendo la colonna sonora del film “Giulia non esce la sera”) e in cui viene effettuata un’analisi focalizzata ad isolare i tratti caratteristici delle canzoni cercando infine di definire nel sesto capitolo, con l’aiuto di Paolo e la sua maggiore esperienza, una complessiva strategia artistica della band di Montepulciano. Il settimo capitolo è invece completamente opera di Paolo Jachia e contiene alcuni interessanti e importanti approfondimenti sul rapporto dei Baustelle con l’immaginario cristiano e con alcuni importanti “maestri” come possono essere Baudelaire e Montale. A fine libro ci sono inoltre due allegati: un’intervista immaginaria curata da me che, attraverso le parole dei Baustelle, cerca di ripercorrere le tappe del loro percorso discografico e artistico, e un approfondimento riguardante le collaborazioni con Irene Grandi, Anna Oxa, Syria, Paola Turci e Valeria Golino, in cui, nonostante le canzoni non siano direttamente interpretate dai Baustelle, il marchio di fabbrica è abbastanza riconoscibile.

Ai Baustelle può essere attribuito il merito di essere una tra le band più interessanti della scena nostrana degli ultimi dieci anni. A tuo avviso come sono riusciti a conquistare questo posto?

A mio parere il successo dei Baustelle deriva dalla loro grande capacità di proporre temi poco trattati, o comunque trattati in maniera diversa, dalla cosiddetta musica “mainstream” miscelandoli con elementi sia riconducibili alla canzone d’autore, a una cultura “alta”, sia appartenenti ad una cultura “più popolare”, proponendoli nella forma della canzonetta pop (per quanto si parli di un pop molto contaminato). Facendo, in parole povere, un grande miscuglio, ma facendolo bene, creando in questo modo una proprio poetica, una strategia artistica estremamente coerente. Un elemento che considero molto importante è il fatto che nelle canzoni dei Baustelle non ci sia un distacco netto tra una cultura “alta” e “bassa”, ma sono trattate entrambe allo stesso livello: in un’Italia in cui, secondo me, la cultura tende ad autoghettizzarsi creando una forte spaccatura tra chi si ritiene più intelligente, più colto e chi invece considera la cultura una roba per pochi signori con la puzza sotto il naso che tra l’altro non servono nulla alla società, questa è una cosa non da poco. Ci sorprendiamo della bassa qualità dei media, del fatto che certe cose non arrivino in televisione, nei giornali, nelle radio, ma se portiamo avanti il pregiudizio che la cultura è una cosa per pochi, come possiamo pretendere che certi progetti artistici, anche forse più meritevoli di quello dei Baustelle, abbiano risonanza mediatica? Un atteggiamento assimilabile a chi vorrebbe tenere il vino tutto per sé e poi si lamenta del fatto che la moglie non è ubriaca.

Un viaggio, dicevamo in apertura del nostro incontro, che si rappresenta con un suono “torbido” quasi a voler raccontare un’adolescenza complessa verso un suono più mistico quasi cristiano?

Diciamo che, oltre che dai testi, l’evoluzione etico-spirituale dei Baustelle è rappresentata attraverso l’uso di sonorità diverse. La parte strettamente musicale delle loro canzoni è costruita in maniera tale da rapportarsi coerentemente con quanto espresso dalla componente testuale. Musica e testo collaborano in maniera stretta nel creare un significato: esse possono rapportarsi in maniera armonica e in questo caso la musica rafforza ciò che viene detto attraverso le parole, o possono essere discrepanti lasciando in questo caso intendere che quello che si vuole comunicare attraverso la canzone è completamente diverso da quello che si sta dicendo attraverso le parole. A livello generale, si può dire quindi che la musica dei Baustelle accompagna in maniera armonica il loro percorso di maturazione: i temi, come le sonorità cambiano radicalmente: da un synth-pop elettronico adolescenziale si passa ad un spaghetti-pop orchestrale e più maturo.

In una parola come descriveresti oggi i Basutelle?

Cresciuti.

Quale la relazione sonora, parlando di misticismo pop, con il maestro Franco Battiato?

Dal punto di vista sonoro, non c’è una relazione così stretta con Battiato, se non per quanto riguarda un particolare gusto per l’orchestra. L’analogia più forte col Mistico per eccellenza della canzone italiana è da ricercare nel concetto di quella che Bianconi definisce parlando del maestro “avanguardia di massa”: entrambi, in maniera diversa, hanno il forte pregio di riuscire a innestare certi temi, certi concetti, certe parole radicate in quella che viene considerata una cultura “alta” all’interno di quelle che possono essere definite “canzonette pop”, fruibili quindi da un più ampio pubblico, dalla “massa”. Questa operazione è ciò che rende strettamente attinenti Franco Battiato e i Baustelle.

Francesco Bianconi il leader dei Basutelle ha come caratteristica quella di miscelare sonorità “vivaci” con testi impegnati. Questo potrebbe essere a tuo avviso il segreto del successo della band?

Come già detto, sostanzialmente sì.

Lo scrivere canzoni ti sembra sia stato anche un modo di fare autoanalisi?

In un’intervista Francesco Bianconi sottolinea il fatto che spesso le parole delle canzoni “gli escono come la pipì”. Quindi scrivere canzoni nasce come urgenza di tirare fuori qualcosa che si ha dentro e in questo senso si può dire che scrivere canzoni sia un ottimo strumento per fare autoanalisi.

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