Si presentano con queste parole: «La realtà è spirito che si dispiega nella sua interezza all’interno della storia. Riflessivo. Disperato. Elettronicamente puro.» Un suono, il loro, coinvolgente, morbido con una ritmica intensa e definita. Incontriamo Anarcord per commentare questa linea sonora.

Bentrovato Massimo?

Ciao a te e a tutti i lettori.

Con quale suffisso definireste la vostra linea musicale?

Soggettivamente trasportante.

Un suono che volge l’ascolto al nord Europa anni ’90 ma che non abbandona la melodia nostrana?

Il richiamo agli anni 90 del nord Europa è inconsapevole e dipende forse dall’imprinting ricevuto, visto che i primi passi da musicisti li abbiamo mossi proprio agli inizio degli anni 90, mentre è perfettamente consapevole e voluto l’approccio tipicamente ninety con l’elettronica, ovvero un’elettronica fatta con synth reali, programmata e suonata su strumenti veri, girando manopole vere, utilizzando veri cavi, un elettronica non ancora schiava del digitale, difetto tipico di quella attuale. La tendenza melodica invece è imprescindibile dal nostro essere italiani, fa parte della nostra cultura e della nostra tradizione, e non considerarla sarebbe credo un errore.

Perché Anarcord, cosa significa?

Il significato è multiplo: richiama l’anarchia degli accordi ovvero il non farsi imprigionare dalle regole ma anche il “non mi ricordo” in opposizione a “mi ricordo” (Amarcord). Il “non mi ricordo” sta alla base dell’eterno soffrire: chi non impara dai propri errori è destinato a ripeterli.

Raccontiamo del vostro album Riviera. L’Historie des choses qui finissent. «Un giro di boa inconsapevole»?

Si, con Riviera abbiamo voluto raccontare la storia delle cose che finiscono non nell’epilogo, ma nel momento in cui le cause che ne determinano la fine si manifestano; un punto di vista particolare che consente o obbliga chi ascolta ad aggiungere il pezzo che manca, a cui nessuno fa riferimento ma di cui si intuisce la presenza. Descrivi sfrenato divertimento e a chi ascolta rimane un inconsapevole profondo senso di malinconia.

Un lavoro che subisce quali influenze sonore?

Durante la registrazione di Riviera per creare un ambiente sonoro per noi stimolante ascoltavamo spesso Daft Punk, Royksopp, Benny Benassi, Sebastian Tellier, i Future Sound of London di “Dead Cities”, Tom Yorke, Knife.

Un attento sguardo alla storia Riviera sembra fotografare attimi di vita intorno ad una data il 28/06/1914. Quale l’interesse per questa data?

Il 28 giugno 1914 è il giorno dell’attentato all’arciduca Franz Ferdinand a Sarajevo, evento che di li a poco getterà il mondo nella grande guerra. Riviera racconta il 28 giugno 1914 di George Guynemer, un giovane della Parigi bene in vacanza a Bordighera, una giornata di eccessi, ansie e divertimento. George che con lo scoppio della guerra si arruolerà nella nascente aviazione francese per diventare un asso dei cieli e trovare poi la morte sul campo di battaglia l’11 settembre 1917. Il 28 giugno la vita cambia per George e di fatto prende la direzione della fine, senza che lui lo sappia. Riviera è appunto la storia delle cose che finiscono, ed il 28 giugno è la data perfetta per raccontarla

Quali sono i vostri ascolti?

Nulla di passivamente subito dalle radio.

Com’è nato il vostro nuovo album Riviera?

Abbiamo passato lunghe serate chiusi in studio a suonare d’istinto senza sosta. Ogni volta usciva qualcosa di diverso ed onestamente era lontana l’idea del concept album. Da questo sfogo notturno sono uscite una serie di bozze sulle quali abbiamo cominciato a lavorare. Durante la registrazione al Corrosive, quando il concept era ormai definito, abbiamo cercato di mantenere lo stesso spirito ossessivo e onirico che aveva dato vita alla musica.

Perché avete scelto lo studio Metropolis di Londra per il mastering?

Diciamo che la fase di mastering per chi produce musica elettronica è quella più importante. Fondamentale è dunque scegliere dei professionisti per curare la parte finale dell’album. Lo studio Metropolis ha lavorato tra i vari sugli album dei Prodigy, U.N.K.L.E., Faithless. “Hippy” Baldwin ha fatto un gran bel lavoro dando il colore giusto all’album. In più la cornice londinese e l’english touch hanno ancora un fascino irresistibile.

Foto: Anarcod

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