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Incontriamo Raiz mentre è in studio di registrazione alla realizzazione del nuovo lavoro che vedrà la collaborazione di alcuni fra i nomi più prestigiosi della scena fra cui il mitico Bill Laswell ed amici di sempre.

L’incontro ha inizio chiedendo il motivo dell’allontanamento dagli Almamegretta. Risulta difficile pensare all’uno senza ricordare l’altro.

Raiz non lo definisce come un definitivo allontanamento ma paragona la collaborazione con Almamegretta come ad un albero con tanti rami nutriti dalla stessa radice. Sono destinati a rincontrarsi.

Ripercorriamo alcuni fra i principali momenti della carriera di Raiz facendo riferimento a WOP (2004) il disco che rappresenta un momento di svolta rispetto al passato.

L’Autore lo definisce come un “Lavoro spaesato. Alla ricerca di una propria collocazione, quella di un’Artista istrionico….”.

Parlando di collaborazioni ricordiamo quella con Leftfield, Massive Attack e Giovanni Lindo Ferretti. Su quest’ultima chiediamo quale sia il filo conduttore fra linee di pensiero apparentemente agli antipodi.

Raiz afferma che la linea di pensiero è molto vicina al contrario. “Io e Ferretti Amiamo la musica, la lettura. Questa è la nostra comune concezione di Artista basata sul significato di comunicazione.”.

Non possiamo non menzionare l’alterego musicale amico e collega Paolo Porcari (tastierista degli Alamamegretta) definito come “l’amico per la vita”. Sarà presente anche nel prossimo disco.

Si parla anche di Glocal (Ndr. Globale + Locale) una definizione che Raiz abbraccia come filosofia di stile artistico. Rispondendo alla differenza fra lingua e linguaggio. Musica come linguaggio universale.

Parlando ancora di contaminazioni Raiz ci ripassa la sua opinione affermando siamo tutti in Europa ma allo stesso tempo siamo tutti diversi ma allo stesso tempo vicini da un comune assetto sociale.

Ripercorriamo alcuni tratti della tua carriera in parte legata alla band Almamegretta, perché poi la scelta di diventare solista?

I gruppi cominciano e finiscono, si fanno esperienze in comune che portano avanti un percorso che si può interrompere, può riprendere dopo. Io con gli Almamegretta ho interrotto perché pensavo che eravamo arrivati ad un punto in cui non riuscivamo più a essere prolifici artisticamente, c’era un pò una “secca” che naturalmente mi coinvolgeva nel senso che io in quel collettivo sentivo che non riuscivo più a dare quello che avevo dato in passato in termini di novità, freschezza, questa è però una cosa che è stata discussa in maniera molto amichevole e fraterna, con loro mantengo rapporti ottimi, di tanto in tanto suoniamo insieme e chissà se rifacciamo un’altra band insieme, magari la chiamiamo in un altro modo perché gli Alma ormai continuano, hanno una loro identità, si sono cementati attorno alla forte personalità di Gennaro Tesone, il batterista, che era un punto di riferimento anche prima, era il membro più “anziano” della band, loro continuano così, ci sono altre voci giovani, un cantante che si chiama Lucariello che mi piace molto, una cantante che si chiama Zaira, vado spesso a vedere i loro concerti, venerdì scorso abbiamo suonato insieme perché abbiamo aimè fatto un tributo ad un nostro amico e uno dei membri fondatori della band che purtroppo è venuto a mancare due anni fà e ogni anno facciamo un concerto memorial in suo onore. Ecco io la mia storia con gli Almamegretta la vedo come un albero: i rami si dividono e sembrano anche molto lontani ma sotto sotto hanno la stessa radice e chissà che non confluiscano un domani in una nuova ramificazione comune.

Fra le diverse collaborazioni quali ricordi con particolare rilievo in riferimento a Leftfield, Massive Attack, Giovanni Lindo Ferretti e come si stabilisce una connessione fra te e, ad esempio, quest’ultimo?

Con Ferretti abbiamo molte cose da dire, siamo tutti e due amanti della lettura e dell’ascolto della musica quindi già due persone così hanno parecchio da scambiarsi e poi abbiamo una concezione dell’artista che è abbastanza simile, molto legata alla parola e alla comunicazione e anche se siamo molto diversi abbiamo molte cose da dirci quindi chissà perché magari poi ce le siamo scambiate qualche volta dal vivo e qualche volta in studio. Con gli altri, Leftfield, Massive Attack, con Bill Laswell col quale sto attualmente facendo il mio disco nuovo, sono cose nate molto sul feeling, mi è capitato di suonarci insieme, mi è capitato di mandargli delle mie cose perché erano artisti che mi piacevano e mi è capitato che mi sia stato risposto che il piacere era corrisposto e gli faceva piacere lavorare insieme. Per esempio con i Massive Attack la cosa è nata così: avevamo un amico in comune che gli ha fatto sentire la nostra musica ed è nata un’amicizia e una collaborazione.

Nel 2004 c’è “Wop”, “Senza passaporto” che segna il tuo allontanamento, anche se momentaneo, dagli Almamegretta. Con quali tratti questo lavoro disegna una nuova identità?

“Wop” è proprio un disco che io definisco etimologicamente “spaesato”, nel senso che io uscivo dal paese che erano gli Alma, mi sono un pò guardato in giro, il disco cerca di portarsi tutto il range sonoro che ho attraversato nella mia carriera musicale. Secondo me si vede che il disco è di uno che è alla ricerca della propria collocazione che forse non è fissa ma è la collocazione di un artista un pò istrionico ed eclettico ed è un disco che lascia presagire un approdo verso un lido più sicuro che è quello del disco che sto facendo adesso.

Potremmo definire Paolo Porcari, la persona che ti affianca nello stilare i testi, come il tuo “alter ego” musicale?

Non solo i testi, lui è quello che ha curato sempre gli arrangiamenti e la parte delle armonie degli Almamegretta, è il loro tastierista storico ed è in qualche modo il mio “alter ego” musicale nel senso che tutto quello che fa lui calza alla perfezione con la mia voce e viceversa, siamo amici da tanti anni, ci siamo conosciuti nell’84-85, è uno di quegli “amici per la vita”, ha collaborato anche nel mio prossimo disco in uscita, ha suonato tutte le tastiere, organo e si, lo potrei definire così.

Cosa ci puoi anticipare sulla nuova pubblicazione?

Che sentivo la necessità di un ritorno alle mie origini musicali, ovvero quelle della musica legata al reggae, al dub e alla canzone napoletana ed ho utilizzato una serie di musicisti molto in gamba, c’è Eraldo Bernocchi che mi ha affiancato alla produzione del disco, poi c’è Bill Laswell al basso, c’è Amid Drake, un batterista americano bravissimo che ha suonato con Herbie Hancock, Pharoah Sanders, è un batterista jazz molto in gamba ma che è capace di suonare anche il reggae in una maniera indescrivibile. Sarà un disco molto pesante, molto live e molto caldo.

La musica ha un linguaggio universale, ma ti sei mai posto il problema della lingua come divulgazione di un messaggio. Un brano in dialetto è sempre comprensibile?

No, non lo è quasi mai. Io, ad esempio, ascolto fondamentalmente musica anglofona e musica che viene dall’Asia, questi sono i miei due poli, sono appassionato di musica mediorientale di cui conosco moltissimi testi, è ovvio che non parlando correntemente la lingua vado a cercare le traduzioni, però secondo me il messaggio arriva attraverso il suono e la musica, non mi fido dei messaggi troppo espliciti. Credo che la scelta di comunicare col mondo passa più facilmente tramite un linguaggio locale che con una lingua ufficiale. La musica italiana cantata in italiano all’estero è la musica italiana, è quella di Eros Ramazzotti, è quella di Laura Pausini, quella di Luciano Pavarotti, Jovanotti e così via, questa cosa cantata in dialetto non è collocabile immediatamente da un orecchio non italiano, uno non italiano non riesce a riconoscere il mio linguaggio e a collocarlo nei confini della penisola e dice: “questo assomiglia a…potrebbe essere…” ed è questo che mi interessa. Mi hanno detto che in Inghilterra ascoltando un disco degli Almamegretta hanno detto: “Ah si, questi li conosco, sono quelli inglesi che hanno i genitori marocchini”, ecco la cosa divertente è che non riuscivano a localizzarci e questo vuol dire che la nostra musica prima di essere localizzata come italiana riusciva a far trasparire quello che dietro la definizione di “italiano” c’è, ovvero una serie di influenze che vengono dal Mediterraneo o dalla tradizione colta del nord Europa, tutte queste cose sono la musica italiana solo che quando canti in italiano questo viene bypassato, quando canti in dialetto la gente non riesce a capire subito di dove sei e comincia a farsi delle domande ed è qua che comincia il divertimento.

Quanto è radicato nella cultura comune il concetto di “diversità”?

Oggi la cultura tende ad omologare, tutto quello che vediamo è la grossa tranciata tra nord e sud del mondo e quello che è sud ha tutto in un calderone. Pensiamo di vivere in un villaggio globale ma in realtà più che altro è un villaggio globalizzato, omologato. La globalità è un valore molto positivo però quando essere “globali” significa che mangiamo tutti quanti allo stesso McDonald’s fa un pò ridere. Viviamo in un’epoca di grosso appiattimento e le culture che sono al di fuori di quella europea, angloamericana o cosiddetta “occidentale” vengono ridotte a spezie, è come se ci fosse una grande focaccia che è la cosa fondamentale, ovvero la cultura “western” e sopra vengono aggiunte un pò di spezie qualche volta come quando vai al Mc Donald’s e ti dicono: “ah questo è il Mc Donald’s indiano”, è sempre lo stesso Mc Donald’s solo che c’è un pò di curry, la cucina indiana è un’altra cosa, però tutto viene liquidato così dalle nostre parti. Gli artisti come me forse servono a dire una parola contro questa omologazione, mi piace pensare a me stesso come dice la parola inglese “glocal” cioè global/local, come se tu fossi un mattone del muro, di confronti con gli altri e ti metti nel muro degli altri mattoni alla pari, volendo imparare e volendo dare, questo è come mi sento io.

“La contaminazione è un modo per dire che l’occidente non è poi così lontano dal sud del mondo”, quanto ritieni vera questa definizione?

L’Occidente sta in una dimensione centrale, ma è centrale per noi che ci viviamo. Se ti allontani e vai in Africa dove non hanno mai visto internet, dove tutto ciò sembra una cosa molto lontana e invece lì vedi che c’è una vita che si sviluppa e vive per conto suo. Come quando pensiamo alla storia d’Europa che a noi centrale e poi c’è tutta la storia dell’Impero Zulù, dinastie, imperi che si distruggevano e si ricreavano di cui noi non sappiamo niente perché per noi la storia e quella ad esempio dell’Impero Britannico, però lì succedeva una cosa esattamente uguale come entità e come portata ma essendo molto lontana e pensando a noi stessi come centro del mondo ci sembra che non sia quasi esistita. Anche per questa storia della contaminazione, mi sembra che noi siamo il vaso principale nel quale vanno a confluire altre cose ed è un vaso che sembra consolidato ma ci sono kilometri e kilometri di distanza tra me e uno scandinavo, siamo nella stessa comunità economica ed europea, ci sembra quasi di essere nello stesso paese ma siamo molto distanti, probabilmente ho molto più in comune con uno che sta a poche braccia di mare da me di fronte ad un tunisino o un algerino. Quindi è vero che la contaminazione fa sembrare l’occidente più vicino però anche l’occidente non è un corpus unicum, è stato unificato dalle condizioni economiche, da una guerra vinta o persa e quindi dall’equilibrio che si è creato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ritengo questa definizione molto vera ma con molti “se” e molti “ma”.

Ascolta intervista audio a Raiz.

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