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Lo incontro fuori dall’Albergo dove alloggia è al telefono… qualche minuto il tempo di concludere la conversazione e di iniziarne una nuova. Buongiorno Angelo. Risponde: «buongiorno allora siamo pronti per l’intervista?»… Ci accomodiamo in una meravigliosa sala dal gusto Barocco, si prepara il tutto (mini disk, microfono, macchina fotografia) La mia prima domanda. Al microfono di EXTRANET come annunciato uno dei Padri della musica contemporanea. Insieme a lei mi farebbe piacere ripercorrere alcuni tratti della sua carriera artistica. Si è diplomato al conservatorio Paganini di Genova. Perché la scelta del violino e non del piano, il suo primo strumento. Branduardi mi risponde che non è padre ma nonno… Inizia così la nostra intervista. Una conversazione dai toni pacati in cui l’Artista ripercorre alcune date della propria storia partendo dal suo trasferimento a Genova al ritorno a Milano. Dove iscritto presso l’Ist. per il Turismo incontra il poeta Franco Fortini. Non manca il riferimento alla realizzazione della Lauda commissionata dai Padri Francescani. Angelo Branduardi ripercorre alcuni momenti della sua brillante carriera al microfono di EXTRANET.

Ed eccoci qui in questo incontro con uno dei padri della musica contemporanea italiana, Angelo Branduardi ai microfoni di Extranet. Insieme a lei ripercorriamo alcuni tratti della sua carriera artistica: nato a Milano, successivamente trasferitosi a Genova e poi laureato presso il conservatorio Paganini. In un primo momento il suo approccio alla musica è stato attraverso il piano, successivamente si è spostato con il violino.

Io ero interessato al piano perché facevo le scuole Montessori, che a quei tempi erano le scuole per i bambini strani che abitavano nella zona del porto. Chiesi di suonare il pianoforte perché c’era una maestra che suonava il pianoforte, era più grande il pianoforte della casa, anche per i costi, però mio padre che è sempre stato un melomane pensò che il violino era più abordabile e così io scelsi fortunatamente il violino perché, non se l’abbiano a male i pianisti, ritengo il pianoforte una grande macchina da scrivere.

A conclusione della sua adolescenza il ritorno a Milano, la città che le aveva dato i natali e qui forse uno dei primi momenti di passaggio, la sua iscrizione all’Istituto Tecnico del Turismo e quindi l’incontro con il poeta Franco Fortini?

Io non avevo fatto scuole normali perché a quell’epoca si poteva fare due ore al giorno di cosiddetta cultura generale, però non sapendo cosa fare avendo già un diploma a quindici anni decisi di provare ad imparare delle lingue straniere, fu una pura combinazione che ci incontrammo io e i miei compagni con Franco Fortini, uno dei più grandi poeti e saggisti del dopoguerra con cui ho avuto tre o quattro anni di intensa relazione perché non considerava la scuola solo una lezione, ci riunivamo con lui, insomma è stato un incontro fondamentale per tanti motivi.

Potremmo definire l’incontro con Fortini anche come il suo mentore?

Bhe sì, io ho imparato da lui tantissime cose, non su tutto ero d’accordo ma comunque era, come dicevo, uno dei più prestigiosi intellettuali del dopoguerra.

1974, l’inizio ufficiale della sua carriera discografica con l’omonimo album. In una dichiarazione stampa lei afferma che il disco, tranne alcune cose belle, contiene grandi ingenuità, a cosa fa riferimento?

Faccio riferimento al fatto che quando si è giovani e sciocchi si tende a costruire delle cose molto complesse per il puro gusto dell’artifizio, ecco quel disco contiene un sacco di cose inutilmente complesse, altre invece più ispirate. Io ho registrato questo disco quando avevo 22 anni insomma è anche normale che ci sono delle ingenuità dovute a questo eccesso secondo me di morboso intellettualismo.

Da poco ha trascorso i trent’anni di carriera, dal 1974 al 2004. A suo avviso come è cambiata la musica in tutto questo lasso di tempo?

La musica in se per se ha subito un cambiamento dovuto soprattutto agli aspetti mediatici quindi ai supporti sonori, al fatto che esistano canali che una volta non c’erano. In realtà poi bisogna dire la verità, la musica popolare rimane quella da centinaia di anni, cioè anche Mozart quando i bambini a casa si dilettano a suonare e i genitori piangono di commozione nove su dieci lui le scriveva per la Torens*che già esisteva e scriveva le musiche per carillon, cioè le scriveva a cento note anche, quindi in fin dei conti la musica popolare rispecchia il momento che si vive, i cambiamenti riguardano le infinite variabili che ci sono state di tipo tecnologico.

Siamo a metà degli anni ’70, esce un altro lavoro: "La luna" che vede anche la collaborazione di Luisa Zappa che oltre ad essere la sua compagna contribuisce alla realizzazione dei testi e nel ’76 "Alla fiera dell’est" , il successo europeo che la consacra in questa scena. Qual’è il messaggio che ha voluto trasmettere con questo titolo per quanto significativo che crede, come lei stesso afferma, al potere vocativo della parola?

Devo essere sincero, "Alla fiera dell’est" mi è venuto in mente così perché c’è una bellissima poesia popolare cinese che dice: "Alla fiera dell’est comprai un cavallo, al mercato del nord la sella, alla fiera dell’ovest …", cioè fui affascinato e quindi dissi dell’est ma tutti si chiesero perché era dell’est, poteva essere di qualsiasi altro punto cardinale, mi affascinava, non c’è nessun motivo, il messaggio è molto potente perché viene dalla religione ebraica ed è una canzone di Pessach, della Pasqua ebraica e il fatto appunto dell’angelo della morte, del Signore etc. in un momento in cui tutti cantavano e parlavano d’altro. Questo fu il fatto anomalo e anche il successo fu considerato anomalo.

Nei suoi lavori esiste una stretta relazione tra la natura e l’uomo, in che termini lei stabilisce questa stretta relazione?

Perché la natura è l’uomo e l’uomo è la natura. In genere questa impressione si ha per il fatto che io utilizzo molto la metafora della fiaba, del racconto come hanno fatto in tanti nella cultura colta e non da migliaia di anni per evitare di rompere le scatole con "io, io, io". Se lei nota sono quasi sempre terze persone e allora parla l’animale, parla l’albero ma questa è una forma antica come il mondo di descrivere il mondo attraverso una metafora naturalistica. Poi il resto, tutte queste frasi, lo sviluppo sostenibile etc. sono più di natura francescana quindi a me sono venute in mente dopo, a parte che lo "sviluppo sostenibile" è una di quelle espressioni orrende che non vorrei aver mai sentito perché non vuol dire niente, però tutte queste cose son venute dopo.

Ha una stretta relazione con le diverse forme di filosofia e la stessa religione, da qui volevo che lei, anche in concomitanza della sua venuta a Lecce, mi parlasse della sua "Lauda" e di come ha concepito questa riflessione?

La musica in generale è un modo di veicolare lo spirito perché è una forma di espressività profondamente spirituale, questo non lo dico io ma lo dicono tutti, anche gli etno-musicologi, cioè la musica nasce centinaia di migliaia di anni fà come lo sguardo gettato dall’altra parte della porta chiusa, quindi è oltre e come tale trascende. Se non si capisce questo non si capisce niente della musica perché se la si slega da questo si ascolta e non si sente e questo io lo ribadisco ogni volta che mi viene data la possibilità. Per quello che riguarda la "Lauda" l’idea non era mia perché l’idea è venuta ai francescani, cosa poi gli sia venuto in mente e perché pensassero che io fossi giusto non lo so. Quando io dissi loro: "ma perché chiedete a un peccatore come me?" loro risposero con una geniale frase, dissero: "Dio sceglie sempre i peggiori", io mi misi a ridere e feci quindi sia la scelta delle fonti francescane da mettere in musica, senza nulla togliere e senza nulla aggiungere, e poi da lì addirittura venne fuori l’idea del musical, parola anche questa che bisognerebbe togliere dal vocabolario perché oggi i musical non si negano a nessuno, allora ho detto no, il musical no, però poi mi è venuto in mente che la madre di tutti i musical e di tutte le forme di espressione teatrale italiana soprattutto era la lauda, che è una forma di rappresentazione sacra ma non sempre che avveniva sulla pubblica piazza e che conteneva degli elementi diciamo rivoluzionari anche perché era a volte anche eretica, c’erano nuovi ordini di eretici, i fautori della povertà della Chiesa e la lauda è di diretta derivazione francescana perché il cantico è inventato da Francesco e la lauda è figlia del cantico, quindi trovai che questo fosse interessante e così feci la "Lauda" e siamo ancora qui a farla, abbiamo fatto tantissime rappresentazioni in Germania in tedesco, adesso poi in Francia in francese ed effettivamente è interessante, cioè è talmente naif, talmente ingenua e arcaica da sembrare il massimo dell’avanguardia, come ha scritto un giornale tedesco, è provocatoria secondo me.

Arriviamo ai giorni nostri. La casa discografica Emi pubblica un "Branduardi Platinum Collection", una sorta di fotografia di trent’anni della sua carriera. Riascoltandola cosa prova?

Non riascolto mai quello che faccio. Io penso di essere uno dei pochi artisti che a casa non ha i suoi dischi e non ho una foto. So che c’è chi le tiene, ma io non ascolto perché mi fa schifo se mi ascolto quindi meglio evitare. Infatti queste sono cose celebrative che fanno le case discografiche, io so che è giusto farle però appunto rarissimamente e quando noi sistemiamo i brani vecchi per poterli eseguire io seguo il filo logico del ricordo e quindi non è mai la stessa cosa, cioè mi ricordo il brano "Alla fiera dell’est", me lo ricordo ovviamente diverso da come l’avevo fatto perché altrimenti avrei dei risultati che troverei sgradevoli, d’altronde la musica non è qui ed ora ma è in un altro posto e in un altro momento e secondo me fermarla diventa un pò difficile, per cui io penso in trent’anni di carriera di avere avuto dei momenti di qualità e quantità maggiore o minore perché non si può essere sempre giovani e belli e non si può essere sempre al massimo della capacità emotiva, però sinceramente non cambierei nulla di quello che ho fatto anche ho sicuramente fatto delle stupidaggini e non tornerei indietro di un giorno a quest’ora assolutamente.

Ascolta intervista ad Angelo Branduardi.

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