winspeare-edoardo.JPG

Come annunciato incontriamo Edoardo Winspeare. Regista che trasporta i colori del Sud, le tradizioni, il costume nelle proprie realizzazioni. Durante il nostro incontro si parla del ruolo della danza tradizionale nella società moderna, della scelta del recitare in dialetto anzi che in italiano, di come sono scelti i soggetti. La scelta del dialetto ribadisce Winspeare è stata pensata in quanto il risultato era buffo, inoltre sottolinea la musicalità dello stesso creando un filo ideale con culture metropolitane quali quella Rap, Hip-Hop, Reggae. Edoardo risulta essere un attento osservatore della realtà circostante reinterpretandola secondo un proprio realismo. Durante l’incontro ci annuncia l’ultima realizzazione riferita al tema della Mafia di cui non fa altro che un accenno. L’incontro si chiude con un messaggio importante. A dire del Regista il dialogo è un valore aggiunto, il cinema dovrebbe essere muto.

Eccoci qui a ripercorrere i colori del sud attraverso lo sguardo, le emozioni e la cultura di un uomo del sud anche se il tuo cognome dà dei richiami sicuramente anglofoni?

Si il nome è di lontana origine inglese, ormai io sono una specie di Highlander che vive da trecento anni qui nel Regno di Napoli, la mia famiglia almeno, ma tutto il mio sangue italiano viene dal sud Italia, poi sono anche un pò bastardo perché mia madre è austro-ungherese con sangue cecoslovacco, polacco, un miscuglio però alla fine vivo qui in Puglia, nel Salento, ho fatto tre film due dei quali in dialetto leccese, non so per quale motivo, non ho una goccia di sangue pugliese però mi sento di qua perché ho respirato la cultura di un posto.

Nelle tue realizzazioni ci sembra scorgere un elemento principale: la realtà senza dare quel valore aggiunto che spesso dà il cinema per dare un elemento sensazionalistico in più. Perché questo spirito di fotografare la realtà così com’è?

Io parto dal realismo, non sarei così d’accordo che la fotografo così com’è. Mi interessa la realtà così com’è, ma la realtà è sempre vista attraverso gli occhi di chi la vede, quindi una realtà soggettiva. E’ vero che comunque il realismo mi interessa molto ma io lo manipolo e a volte addirittura il mio realismo diventa onirico, che giustifico con un sonno, con la toga, con una visione trascendentale della realtà e quindi metafisica ma non è un realismo puro e duro, ci sono elementi del realismo puro e duro manipolati per cercare di fare arte, se mi riesce.

Parlavamo di trascendentale, ci sono "Il miracolo" nel 2003, "Pizzicata" nel 1996 e "Sangue vivo" nel 2000 che hanno questo elemento molto radicato all’interno della stessa realizzazione. Quanto l’elemento del trascendentale è presente anche nella tua vita e perché è così marcato? E’ un modo anche per esorcizzarlo?

Io penso che il trascendentale è nella vita di tutti, ogni tanto rinneghiamo l’aspetto spirituale, siamo in un’epoca talmente materialista che è meglio dimenticarlo altrimenti non ce la facciamo, però a questo punto bisogna fare i conti con quello che succede dopo, se c’è qualcosa, se esiste Dio, se c’è la sopravvivenza dell’anima e questa dimensione è molto importante per me, lo è nella mia vita privata e lo è anche nel cinema anche perché è una cosa che a me interessa e quindi se mi interessa la devo trasportare su pellicola e poi funziona molto col cinema, è molto cinematografico ma non nel senso che lo sfrutto, io cerco di fare molta attenzione, la spiritualità è una spiritualità quotidiana, anche il miracolo non è "alzati e cammina", sono i miracoli di ogni giorno, sono i miracoli dell’amore.

La musica e la danza in particolar modo hanno svolto da sempre nelle società un ruolo importante nella comunicazione. A tuo avviso che ruolo svolge nella società la danza popolare, quella che tu hai attentamente analizzato e riportato?

C’è differenza tra danza popolare e danza tradizionale, quella che ho raccontato nel film è danza popolare-tradizionale perché danza popolare è anche l’hip hop, la disco. A me interessava questa forma di resistenza che ha caratterizzato il Salento negli ultimi quindici anni con la pizzica perché è l’unico posto al mondo o in Italia dove la musica popolare è diventata un fenomeno di massa e non solo per noi salentini ma da tutto il mondo arrivano persone, forse è una grande "’nzallata", forse c’è molto cattivo gusto ma se fossi un sociologo mi interesserebbe molto capire questo fenomeno. Secondo me è stata anche una forma di reazione alla globalizzazione, all’omologarsi e uniformarsi di tutti i costumi, di tutti i gusti, dobbiamo parlare tutti nella stessa lingua, sentire tutti la stessa musica, vestirsi tutti alla stessa maniera quindi ad un certo punto qualcuno si è inventato che c’era una forma diversa che era frutto di una tradizione millenaria e questa forma e musica si esprimeva con i canti moroloia, con i canti d’amore e con la pizzica.

Come scegli un soggetto e dove nasce l’idea di realizzare un cortometraggio, un lungometraggio o comunque una proiezione?

Nasce sempre da un amore, da un innamoramento, io mi innamoro di una donna, mi innamoro anche di una faccia, di una donna in una fotografia e dico: "bisogna farne un film" e quindi parto da questa fotografia, per "Pizzicata" mi ero innamorato di una foto che aveva fatto mio padre negli anni ’50 di una donna bellissima di un paese nostro, mio padre l’aveva chiamata e le aveva detto: "mi scusi signorina le posso fare una foto?", lei si era girata, un volto di una tristezza profonda. In "Sangue vivo" era Pino Zimba, una persona completamente diversa da me, uno che fuma pacchi di sigarette, va con un sacco di donne, beve, va in carcere, quindi esplorare un mondo totalmente diverso dal mio e parallelo al mio perché questi sono di un paese qui accanto lo trovavo molto interessante. Nel prossimo film si parlerà di Sacra Corona Unita, è nato dalla conoscenza della moglie di un boss della Sacra Corona Unita di Mesagne e questi strani tipi che hanno rituali, che si ammazzano perché quello lo ha guardato male, mi sembra molto interessante, mi spaventa, mi preoccupa, mi chiedo il perché di tutto questo, mi chiedo se noi borghesi, noi benestanti siamo responsabili. Da questo nascono i film, da stupidaggini, "Il miracolo" da un bambino che ho conosciuto che era straordinario e che secondo me faceva dei miracoli perché lui voleva molto bene a tutte le persone che incontrava e queste persona stavano bene.

Spesso troviamo dialetti tra nord e sud totalmente incomprensibili, in particolar modo nel nostro paese esistono queste fratture dialettiche così importanti. Non pensi che la scelta di recitare in dialetto possa far correre un rischio, cioè quello di rendere incomprensibile magari anche a persone non tanto lontane dalla città in cui tu risiedi? E’ stata una scelta voluta, un caso e perché se è stata una scelta voluta?

In molti casi ero obbligato perché ho provato a far parlare Pino Zimba e Lamberto Probo in italiano, era buffissimo, era curioso, loro non parlano bene italiano, cioè lo parlano bene se parlano con me, non so come spiegarti, se fai parlare in italiano certi tipi delle Vele di sesso maschile di quarant’anni è buffissimo, allora diventa una commedia. Uno come Zimba parla benissimo italiano ma se parla con Lamberto Probo parla in "in dialetto" come dice lui, questa è la prima cosa. Seconda cosa io trovo che il dialetto ha molta musicalità, io trovo l’italiano la lingua più bella del mondo ma il dialetto ha qualcosa di simile all’inglese, infatti va molto bene con l’hip hop, col reggae, col rap, il barese è ancora meglio, è molto immediato, poi un certo tipo di dialetto è una lingua di maschi, un certo tipo di dialetto invece più dolce, di pizzicata, è una lingua di femmine perché il leccese può essere molto dolce, la dolcezza di una donna che ti dice: "me si mancatu tantu beddhru miu" o "caleddhru ca sinti" è bello, ti fa accapponare la pelle dalla tenerezza. Io volevo esprimere tutta questa forma salentina ma in fondo volevo comunicare sentimenti universali, questo è buffo perché mi si chiede spesso se io divento provinciale, ma è come dire a Gadda o a Tolstoj se erano provinciali, scusate se mi paragono a questi grandi, ma noi abbiamo un complesso verso la cultura popolare perché la cultura popolare all’estero è sempre stata fonte di ispirazione per la cultura alta, pensa un pò a Borges col tango, a García Lorca con la musica flamenca, a Dvoràk, a tutti gli ungheresi, ai russi nella loro letteratura. Forse perché noi abbiamo una cultura alta, la nostra lingua non è una lingua di potere ma è la lingua di Dante quindi è intoccabile, le lingue sono invece modificabili, noi parliamo un italiano così, l’italiano di tutti i giorni, che non è quello delle fiction, è un italiano leccese qua e Zimba parla in dialetto, poi io penso che il cinema dovrebbe essere muto, quindi il dialogo è un dettaglio, è importante ma rispetto all’immagine è un dettaglio. Io penso che i miei film molto spesso non sono riusciti perché sono stato incapace io, non è un problema di lingua, se fossi stato veramente bravo si capivano pure senza dialogo, il dialogo è un qualcosa in più, un valore aggiunto che arricchisce il film, dà qualcosa in più.

Quindi il film come immagini e non come dialoghi?

Ca allora, ca certu, sine.

Ascolta intervista audio.

Cosa ne pensi?

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.