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Saturnino è il suo mitico “Basso”. Una storia tutta da raccontare. Un vero professionista che inizia attraverso una cover band di amici.

Riproponendo band indimenticabili come Rolling Stones, Van Halen, Ac/Dc. La storia inizia con un Ibanez Musician, regalo del padre. Saturinino si rivela da subito un appassionato dello strumento.

Ha collaborato con Artisti del calibro di Franco Battiato alla registrazione del cd “La Cura” (1996) e con Lorenzo Cherubini. Rivelatosi nel corso del tempo fedele compagno di viaggio. Racconta che Lorenzo era alla ricerca di musicisti poco conosciuti durante la registrazione di “Una tribù che balla” ed il loro si aprì con una lunga chiacchierata sulla musica della durata di tre ore…

Saturino si racconta rivelando la passione che ha per la musica e la professionalità che dimostra nel proprio lavoro.

In questo momento da dove siamo collegati?

Sono a Milano, ma vogliamo dire come è nata questa intervista?
Certo, è nata attraverso un sistema che io non credevo funzionasse così bene, il tuo spazio su myspace, tu sei stato così disponibile da rispondere subito e dopo una serie di appuntamenti siamo riusciti finalmente a concordare questo incontro.
Questo è anche il bello di questa enorme community, all’approccio c’è sempre un pò di perplessità e invece è la prova che se uno le cose le cerca bene arrivano.

Che rapporto hai con il tuo basso. Lo consideri un’estensione di Saturnino?

Lo è, è una sorta di porta che mi permette il dialogo con le altre persone, io lo considero lo strumento della presa di coscienza, cioè quando ho iniziato a suonarlo mi si è aperto un mondo che fino a quel momento non avevo neanche visto e neanche pensato che esistesse, ho iniziato con il violino quando avevo cinque anni e quindi passare al basso, tra l’altro per puro caso, è stato come avere la chiave d’accesso, come una password.

Hai iniziato grazie anche all’aiuto di tuo padre che ti ha instradato a questa professione. Il tuo primo strumento qual’è stato?

E’ stato il violino. La cosa per cui ringrazio sempre mio padre è l’avermi iniziato all’arte, un’educazione innanzitutto all’ascolto della musica e poi alla pratica della musica su uno strumento.

Come si ascolta la musica?

Ascoltare la musica è una cosa abbastanza complessa, è come guardare un film e guardarlo nel modo giusto, come andare a vedere una mostra, hai bisogno di una guida ma che non sia la guida audio che ti da le informazioni sulla vita dell’artista o sull’opera, ma proprio informazioni preziose. Andrebbe fatto tutto con un “Sensei”, quello che dal giapponese viene tradotto spesso in maniera sbagliata con “maestro” ma in realtà nella traduzione letterale è “quello che è passato prima di te da quel sentiero”, da chi ha avuto un’esperienza in quel campo possibilmente positiva, perché molte persone rimangono traumatizzate e ti trasmettono un’esperienza negativa. Se tu nasci in una condizione non felice dal punto di vista psicologico, se tu manifesti una predisposizione all’arte questa cosa viene subito repressa, ti dicono: “fare l’artista è una cosa precaria”, invece godersi l’arte e ascoltare una composizione musicale con qualcuno che ti spieghi e contestualizzi il tempo in cui quel brano sia stato realizzato.

Secondo il tuo parere, suonare è una forma di ribellione?

E’ una forma di manifestare la propria esistenza, è come fare i graffiti, c’è chi lo fa in un certo modo e c’è chi lo fa in modo che questa cosa riesce, è un pò come quello che fa il neonato quando ha fame sul seggiolone cioè piange perché cerca di farsi ascoltare e tutti in questo mondo cerchiamo di farlo, c’è chi ci riesce e c’è chi fa un pò più fatica perché magari sbaglia o il tempo o il modo di manifestare questo bisogno.

Nella scena rock contemporanea quali sono gli artisti che ascolti maggiormente?

I miei primi ascolti avvenivano grazie al fratello maggiore di un mio amico che aveva una collezione di dischi enorme e ascoltava dalle cose più sperimentali tipo i Brand X che erano una formazione di musica sperimentale inglese in cui militava anche Phil Collins che ha fatto un cammino inverso a molti artisti, ha iniziato subito con la sperimentazione e poi è finito nel pop più estremo. Poi c’erano anche i Level 42 che ascoltavo in quel periodo, poi riguardo gli ascolti attuali ascolto cose italiane indipendenti, mi piacciono molto i Baustelle.

Dal tuo archivio, che vanta una ricca collezione, quali sono i principali titoli di cui non potresti fare a meno?

Una volta, circa una decina di anni fà, avevo stilato una sorta di classifica di dischi che avrei portato con me su un’isola deserta, però in realtà ci sono un sacco di cose che continuo a cercare. Non credo nel fatto che sia stato già inventato tutto musicalmente, credo che ci sia la ricodificazione del linguaggio, cioè il rock che si faceva trent’anni fà può essere reinterpretato come linguaggio da gruppi molto più recenti e giovani con la stessa energia. La cosa principale è che non va mai persa di vista l’energia che c’è alla base di tutte le cose, questa è una cosa che mi ha detto anche Elio Fiorucci che lavora in un altro campo che però è molto complementare, il fatto di vivere a sessant’anni e cercare di applicare la stessa energia mentale in tutto quello che può essere nuovo o rivisitato.

E’ vero che hai iniziato a suonare in una cover band di amici riproponendo brani storici di Rolling Stones, Wan Allen e i Ac/Dc?

E’ assolutamente vero e appunto il basso è capitato per caso perché il bassista era partito per il servizio di leva e aveva lasciato lì lo strumento con l’amplificatore come si faceva nelle sale prove di amici che è comunque gente che si frequenta anche per altri motivi, non necessariamente per fare musica.

Nel tempo libero oltre a suonare come ti rilassi?

Faccio già una cosa che mi rilassa parecchio quindi nel tempo libero cerco l’eccitazione più che il rilassamento, ho approcciato da un paio d’anni il pugilato classico sull’onda di un documentario che ho visto su Miles Davis, cerco sempre di andare a complicarmi più che a rilassarmi.

A chi rivolgi l’appellativo di “mentore”. Chi ti ha fatto conoscere e ti ha instradato al successo?

Io sono uno che crede profondamente nella teoria dei sei gradi di separazione. C’è un film molto bello, che tra l’altro segna l’esordio di Will Smith come attore che si intitola “Six degrees of separation”, cioè esistono sei persone che ti separano da quello che tu realmente vorresti essere o vorresti fare. A nessuno l’appellativo di “mentore, ti posso dire alcune persone chiave nella mia vita a partire da mio padre stesso che è il primo che ha permesso una cosa che mi ha fatto incontrare un’altra persona che a sua volta ha permesso che io fossi in grado di poter effettuare una scelta.

Possiamo sapere qual’è la seconda persona?

Per esempio questa persona si chiama Michele Schembri che è un produttore di Napoli che vive a Milano ed è un autore di canzoni che per tutta la sua vita ha fatto musica, ha collaborato come coautore, ha lavorato alla produzione di dischi, alcuni più importanti e alcuni meno, è stato coautore di un paio di brani per Mina quindi questa è una cosa che già gli ha fornito un buon sostentamento, mi ha ascoltato suonare a una fiera di strumenti musicali e mi ha detto: “se tu ti trasferisci a Milano io posso fare qualcosa per te”, farmi partecipare alla produzione di un disco, mi ha dato una condizione però la scelta di venire a Milano è stata mia. Io sono convinto che nella vita delle informazioni le hai, le ricevi. In quel momento lui per me è stato un “mentore” nel senso che mi ha detto: “questo è il posto che fa per te”.

Cosa ricordi del maestro Battiato durante la registrazione del brano “La cura”?

Io ricordo qualcosa ancora prima, per esempio mi ricordo che il creatore di questa unione è stato Maurizio Salvadori, un conosciutissimo manager di artisti e anche produttore di grandi eventi live, che in quel periodo si occupava di Franco Battiato e ha prospettato una rosa di ipotetici musicisti che potevano prendere parte a questa produzione. C’erano nomi inglesi, americani e mi ricordo che già quando Salvadori ha fatto il mio nome a Battiato lui ha reagito con entusiasmo quindi quello è stato il primo passaggio, poi c’è il secondo passaggio quando ci si trova a cena a casa di Salvadori per ascoltare i pezzi che Franco Battiato avrebbe poi registrato e mi ricordo che dopo una cena fantastica ci si siede in questo salone stupendo in totale relax e Franco Battiato disse: “questi sono i pezzi che io vorrei registrare” e aveva espresso anche questa cosa di fare basso, chitarra e batteria tutti live tutti insieme e dare un’ossatura a tutto quello che sarebbe stato rimesso su dopo. Fece ascoltare “Strange days” e poi partì “La cura” e disse: “questo è il brano con più atmosfera del disco” e c’era già il testo, il provino era già una foto a fuoco, mi ricordo che partì questo pezzo e mentre su tutti gli altri brani tutti dicevano qualcosa o parlavano, su questo si sono azzittiti tutti. Mi stavo rendendo conto che stavo ascoltando una canzone che sarebbe diventata una delle più belle canzoni d’amore di sempre ed è una sensazione stranissima di cui ti accorgi, me ne sono accorto io ma se ne è accorto anche il cuoco, era incredibile, una cosa che arrivava a tutti e quella è stata l’emozione ancora più grande di averla registrata.

E’ vero che il tuo primo incontro con Jovanotti ha avuto un’anticamera di conversazione durata realmente tre ore in cui si è parlato solo di musica?

E’ stato una meraviglia.

Hai mai pensato di fare il produttore?

E’ un mio grande desiderio che credo che realizzerò. L’ho già fatto in studio con Giovanni Allevi, gli ho prodotto i primi due dischi, che sono quelli che magari sono andati meglio.

Uno spazio web per raggiungerti e per conoscere qualcosa in più su di te?

www.saturnino.org

Ascolta intervista audio a Saturnino.

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