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Patrizio Roversi direttamente dal format in onda su Rai Tre Velisti per Caso. Un percorso Artistico singolare come il personaggio. Inizia la carriera con un format dedicato ai bambini. Successivamente conduce uno spazio rivolto alla lettura “Per un pugno di libri”.

L’ultima realizzazione è “Velisti per Caso”. Un percorso itinerante che lo vede al fianco dell’inseparabile compagna Syusy Blady. Patrizio ci racconta la propria esperienza televisiva e turistica. Ripercorrendo alcuni fra i momenti più significativi della propria vita artistica e privata. La riflessione sulla scuola definita «diseducativa». Si parla di Media del rapporto che esiste fra spettatore e palinsesti Tv.

Roversi afferma di aver fatto sempre una «Televisione alternativa». Fra le passioni evidenziate c’è la comparazione tecnica dei Telegiornali. Chiediamo in cosa consista?

Non mancano riferimento alla tanto amata Bologna città adottiva di Patrizio e definita come “Un amore sognato prima che consumato”.

Con quale spirito affrontate i vostri viaggi, vere e proprie sfide conoscitive?

Io affronto ogni viaggio con il patema d’animo della prima volta. Sono uno di quelli che quando esce di casa deve chiudere il gas due o tre volte e a cui sembra proprio di abbandonare una fetta di sè prima della partenza. Sono sempre piuttosto cauto e preoccupato.
Syusy invece molto spesso è baldanzosa, piena di curiosità e ci compensiamo. Lei è quella che improvvisa, tradisce il programma di viaggio per perdersi nei luoghi e cercare degli incontri imprevisti, io quello che come il mio amico detto “orso” Marco Schiavina, il nostro stratega turistico, cerca di prevedere tutto. Di trovare amici, appuntamenti che gli permettano di conoscere un posto anche se magari ci stiamo per poco tempo.

L’Europa è tra le tue destinazioni preferite?

No, purtroppo. Potrebbe essere tra le mie destinazioni preferite ma l’esigenze di programma invece ci hanno portato quasi sempre molto lontano dall’Europa. Questo perché mostrare in televisione un paese “esotico” naturalmente crea un interesse a priori molto più forte. Per cui devo essere sincero, conosco molto bene posti lontani e mi vergogno di confessare che conosco pochissimo posti molto vicini come l’Europa.

E’ vero che il tuo primo libro è stato un enciclopedia dal titolo “Il mio amico”, un volume dedicato a miti, leggende e fiabe?

Assolutamente sì, il primo libro che ho letto quando ero un bimbo era questo volume rosso che mi sembrava enorme quando. Adesso è un volume normale, un’enciclopedia dove c’erano tutte le favole, i miti, le leggende. Da Re Artù fino ai fratelli Grimm, all’Odissea all’Iliade, all’epica l’ho proprio divorato, mi piaceva da matti. Da bambino leggevo molto, dopo nella fase scolastica e post scolastica ho smesso di farlo e sono diventato un “analfabeta di ritorno”.

Tu definisci il rapporto scuola-lettura come diseducativo. A tuo avviso la scuola è ancora oggi diseducativa?

No, diseducativa è una parola grossa, è un’accusa pesante. Ho sempre detto che la scuola mi ha insegnato a leggere per studiare quindi a leggere facendo fatica. Una lettura come lavoro per ottenere un risultato, un buon voto nell’interrogazione.
Questa visione distorta della lettura mi è rimasta per molti anni perché. Ho letto libri per il mio lavoro. Da dieci anni ho ripreso a leggere per il puro gusto di farlo, ero anche bravo a scuola ma leggere per me era sinonimo di impegno, invece ho dovuto scoprire in tarda età che leggere è sinonimo di puro godimento.

Hai sempre fatto un tipo di televisione decisamente alternativa. Come ti sei avvicinato a questo tipo di media?

E’ stata una cosa molto progressiva. Da bambino mi sono incuriosito attraverso un amico che era un mio professore di applicazioni tecniche, Giuliano Parenti e faceva teatro, drammaturgo e scrittore. Ho cominciato alla media inferiore a fare teatro, ho continuato con lui come suo “piccolo di bottega” alle superiori. Poi con Syusy, che ha frequentato studi come pedagogista, abbiamo fatto teatro per ragazzi, teatro di strada.
Erano i mitici anni ’70 di andavano i miti teatrali alla Sant’Arcangelo in Romagna dove c’erano gruppi che venivano dall’estero. Abbiamo fatto varietà, cabaret in un circolo ARCI a Bologna e lì ci è venuto a vedere Giovanni Minoli in incognito. E’ tornato un’altra volta e ci ha detto chi era e ci ha invitato a fare quelle cose in tv. Da lì abbiamo iniziato qualcosa di televisivo per “colpa” sua. Ad un certo punto l’innovazione tecnologica, che è sempre la chiave di tutto, è arrivata ad aprirci uno strumento espressivo, in questo caso l’innovazione tecnologica era rappresentata dalla telecamerine semi-professionali che anche chi come me riesce a gestire. Attraverso questo strumento siamo riusciti ad iniziare e produrre i viaggi di “Turisti” prima e “Velisti per caso” dopo.

A tuo avviso la televisione generalista ha qualcosa dalla quale difendersi?

Non lo so, mi viene istintivo difendere la tv generalista dalle accuse di essere una tv deficiente. Ammetto che la tv generalista a volte sia deficiente ma non è colpa sua. Non è colpa nemmeno degli ottimi autori e conduttori della tv generalista. A mio avviso è semplicemente colpa della missione che viene assegnata alla tv generalista medesima. Se la tv generalista, sia quella privata che pubblica, deve fare soprattutto audience, deve radunare davanti al teleschermo il maggior numero di persone possibili allora è evidente che la tv generalista deve essere anche seduttiva. A mio avviso a volte cade proprio nel reato di addescamento perché fa delle cose che servono per essere viste, fanno leva sugli istinti meno nobili dello spettatore pur di suscitare la curiosità e l’interesse.

Vediamo questa riflessione dal punto di vista dello spettatore: con quale senso critico egli deve avvicinarsi a questo media “ammiccante”?

In questo caso la povera tv generalista, cioè il media che abbiamo messo sotto accusa, a mio avviso non ha colpa, bisognerebbe modificarne la missione.
Se coloro che investono pubblicitariamente capissero che è più importante avere davanti al teleschermo meno persone ma più motivate, ci potrebbe essere una tv generalista meno superficiale. La tv pubblica dovrebbe avere garantita l’autonomia, visto che paghiamo il canone, anche per fregarsene un pò dell’audience. Lo spettatore purtroppo non è mai critico.

Cito di nuovo il mio professore delle medie, Giuliano Parenti, che mi insegnava a decodificare per esempio i messaggi pubblicitari, già allora trentacinque anni fà. Lo spettatore viceversa secondo me non è smaliziato, è stato in qualche modo sovrastato da questo strumento e linguaggio. Per cui non è abbastanza critico e chi è che dovrebbe renderlo critico?

Probabilmente ritengo una scuola più attenta all’attualità che dia veramente ai ragazzini degli strumenti per comprendere. Leggere per esempio un articolo di giornale, discernere la notizia da quello che è il parere del giornalista e soprattutto svelare il lavoro del titolista che in genere strilla la notizia fino a volte a deformarla. Questi meccanismi, questo è l’italiano che secondo me bisognerebbe insegnare a scuola.

Una delle tue grandi passioni è la comparazione politico-tecnica dei telegiornali. In cosa consiste?

Mi piace guardare più di un telegiornale per cercare di dedurre da dove è nata la notizia, cerco di capire qual’è l’evento che ha fornito la notizia attraverso le diverse versioni che gli stessi danno della notizia.
Ti assicuro che c’è un livello di manipolazione tecnica delle notizie che è pazzesco, il taglio, la collocazione, come te la titolano è veramente divertente vedere come giornali e telegiornali diversi ti raccontano la realtà.

Hai altre passioni di questo tipo?

Questa non è una passione, è una perversione. Invece ho delle passioni vere e proprie, come quella di collezionare “Tex Willer”, posso confessarlo, appartengo a una generazione in cui molti hanno cercato di migliorarsi attraverso la meditazione.
Questa non è altro che lo svuotamento della testa dai pensieri e allora il tuo cervello puro vaga nella speculazione.
Io ottengo lo stesso risultato leggendo “Tex”. A mio avviso è una tecnica di meditazione.

Che musica ascolta?

Sono una bestia pazzesca, ho alcuni personaggi che ammiro ma sono anche un pò deformato dal fatto che li conosco Battiato, Guccini, gli Skiantos.
Ho incontrato più volte Lucio Dalla, Carboni e altri, allora magari mi innamoro del personaggio e ascolto la sua musica. Purtroppo ho una cultura musicale bassissima, non memorizzo i nomi, non capisco i testi quando questi non sono in italiano, sono un ascoltatore estremamente distratto. Per fortuna interviene Syusy, appassionatissima invece di Mozart o di Rossini e qualche volta mi costringe a fare mente locale.

Cosa ricordi del format tv “Per un pugno di libri”. Un’istigazione alla lettura?

Mi sono divertito, è stato bellissimo. Prima di tutto è stata una delle poche situazioni in cui io non avevo delle responsabilità, non sono stato autore di “Per un pugno di libri”. Gli autori mi hanno invitato a fare il conduttore e a farlo per i miei difetti. Potevo benissimo rilassarmi. I miei difetti fondamentalmente erano che sono ignorante, non sono uno che tratta il libro con supponenza, non ce la potrei mai fare perché ne so meno dello spettatore medio, quindi ero rilassato, avevo anche il mio “super io” culturale in trasmissione.
Una bellissima esperienza, andavo a Roma per riposarmi perché mi divertivo e poi era l’occasione per leggere qualche libro che non fa male. Adesso ho recuperato la gioia di leggere.
Mi è piaciuto molto, credo che è stato e sia ancora con Neri Marcorè una istigazione a trattare il libro come un gioco e quindi avere confidenza con questo “amico” come dice Andrea Salerno, che era uno dei primi tre autori fondamentali di questo format assieme a Paolo Taggi e Maria Vittoria Fenu.
Andrea Salerno sostiene che nei libri ci sono tutte le domande e le risposte. Il libro è davvero una bella compagnia, un aiuto a stare al mondo. La cultura accademica e la scuola un pò barbosa ci hanno fatto credere il contrario.

Sei nato a Mantova ma vivi a Bologna, definisci il tuo rapporto con la città “un amore sognato prima che consumato”?

Si, io non bevo quasi mai a volte mangio molto quindi se ho detto una cosa del genere è perché ero contaminato da troppo cibo.
In realtà io non conoscevo Bologna, ci sono arrivato da studente, ho fatto addirittura due anni in uno pur di scappare via dalla mia città e andare ad abitare da solo a Bologna. Ci sono andato proprio per caso perché il mio amico Stefano, quando eravamo a Mantova sulla riva del lago mi disse: “sai che si è liberato un posto nel nostro appartamento?” e io dissi: “Va bene, vengo!”. Sono andato a studiare a Bologna.
Adesso se devo pensare sinceramente a casa mia mi vengono in mente due immagini: la prima è quella di Mantova che riaffiora sempre più spesso e l’altra più forte è quella di Bologna.
Abito in centro e sono un “orale” da certi punti di vista a Bologna si parla molto, si mangia e si assaggia. Bologna ha questi portici che assomigliano un pò ad un grembo che rassicura.
Ho trovato un modo di vivere e di lavorare molto comodo, ci sono miei amici e colleghi che sono a Milano o Roma e perdono ore al giorno per raggiungere il luogo di lavoro, mentre io ci vado a piedi e impiego quattro minuti. Soprattutto nella Bologna degli anni ’70 io ho approfittato della sua grandissima ricettività culturale e delle grandissime possibilità che offriva di lavorare e sperimentare.

Che rapporto hai con internet?

Utilitaristico, lo uso quando mi serve però non è una mia passione. Assolutamente non navigo per il gusto di farlo. Appartengo alla generazione precedente che ha imparato a usarlo. Non riuscirei più a fare a meno della posta elettronica, i due siti che noi abbiamo “Turisti per caso” e “Velisti per caso” sono per me, per Syusy e per gli altri amici. Uno strumento indispensabile per avere un contatto con il pubblico quindi tanto di cappello però c’è un sano rapporto di estraneità tra me e la tecnologia web.

Il viaggio può essere inteso anche come viaggio sognato?

Io credo che il viaggio prima debba essere sognato. Guai se parti per andare in un posto di cui non hai sognato nulla. Su cui non hai investito emotivamente nulla altrimenti il viaggio diventa una vera fatica.
Prima deve essere stato un grande desiderio, devi aver visto un filmato o letto un libro e dopo ci vai.
Io sono rimango convinto che viaggiare sia proprio una bella fatica, bisogna che ne valga la pena.

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