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Compagna artistica di Giovanni Lindo Ferretti prima nei CSI e successivamente nei PGR.

Personaggio singolare quello di Ginevra che sembra voler sperimentare nuovi modo espressivi attraverso il canto. Ricordando la reinterpretazione nel 1999 insieme a Francesco Magnelli del film muto Il fantasma dell’opera del 1925 (con Lon Chaney).

La incontriamo al microfono di EXTRANET per ripercorrere l’alchemica carriera che si trova oggi a sperimentare nella Notte della Taranta.

Quando l’incontro con Giovanni Lindo Ferretti, leader carismatico che ti ha permesso di esporre le tue doti creative?

In realtà prima ancora di Giovanni Lindo Ferretti io devo ringraziare Francesco Magnelli perché è stato attraverso lui e attraverso la sua forte volontà in un determinato momento, che è stato quello dello scioglimento dei CCCP, l’anno del ’91 in cui la vecchia formazione, Giovanni Ferretti e Zamboni che provenivano dai CCCP unendosi con Magnelli e Maroccolo, che venivano dallo scioglimento dei Litfiba nella vecchia versione, hanno formato i CSI. Ferretti aveva necessità di una voce femminile al suo fianco, lui aveva avuto un’esperienza con una sua amica, Patty Vasirani che era una cantante lirica che provò a fare una serie di concerti con loro, però aveva una tecnica forse troppo definita in un certo genere e non si sposava molto bene con Ferretti, fu un rapporto artistico che finì e così lui si ritrovò da solo ma non voleva stare da solo. Io conoscevo Francesco e Gianni perché gestivo uno studio di registrazione insieme ad altri amici del liceo, avevo vent’anni al tempo, loro mi conoscevano, avevo cantato in dischi che loro avevano prodotto e così Francesco mi portò e disse: "prova un pò con lei che secondo me ti puoi trovare". E’ stata una sintonia non subito trovata perché entrare in contatto con Ferretti non è una passeggiata, però il cielo ha voluto che trovassi un codice di approccio che lui riconosceva è una sensibilità affine, anche se io ero una ragazzina e lui un personaggio dal carattere difficilissimo ma dal cuore caldo e animale e questo io lo sentivo. Poi è stato cantando, cercando di trovare una nostra interazione che abbiamo trovato un nostro modo di esistere e un nostro senso. Spesso io ho fatto da contraltare a lui, il bello della nostra unione era commistionare le sue asperità alla mia morbidezza che è la caratteristica che ho più sfruttato in tutti quegli anni con i CSI. Poi, una volta finita quell’esperienza, la mia vocalità si è ancora più aperta, ho anche conosciuto dell’altro rispetto a quello che avevo fatto perché comunque con loro avevo una via tracciata.

Qual’era il lato più umano di Ferretti?

Il lato più umano è quello che sta fra le righe, è quello che non si vede spesso, mi piace dire il suo lato "animale" perché quando si è sul palco lui ha un’energia quando ti sta vicino e quando te la vuole dare te la passa, è qualcosa che probabilmente dall’esterno si sente perché è la sua energia e il suo carisma che c’è, ma forse viene sentito in maniera diversa da chi con lui sta creando qualcosa. Era bellissimo, siamo stati veramente bene e molto vicini, erano sguardi, erano sorrisi, erano calci, erano gomitate quando era necessario, però è una personalità molto viva e mai falsa nel bene e nel male.

L’avventura nei CSI, oltre a regalarti un’importante esperienza professionale, ti ha dato anche qualcos’altro?

Mi ha dato una grande opportunità. Io credo che alla fine sia stata anche una grande fortuna perché che cosa determina che certe cose funzionino e che certe alchimie esistano?
E’ la vita che davvero regala e toglie a volte anche a suo piacimento. E’ stato un percorso molto intenso che ho vissuto in una fascia di età giovane, perché adesso ho 37 anni e ho iniziato con loro che ne avevo 21 e ho fatto 10 anni con loro, quindi è stata subito un’esposizione importante, ho calcato bellissimi palchi con pochissima esperienza, ho avuto la possibilità di fare palestra in grandissimi contesti, sono stata contenta di aver trovato un senso di essere in un gruppo che era molto difficoltoso dal punto di vista di rapporti, sono personalità molto complesse già ognuno per conto suo, figuriamoci tutti insieme, però io ero la donna e quindi con me rigavano sempre abbastanza dritti.

Parliamo del tuo rapporto con Francesco, compagno prima professionalmente e adesso in ambito personale. In riferimento al contributo che hai dato al film muto "Il fantasma dell’opera" del 1925, come si crea a proposito di link il un collegamento tra musica e cinema ma non parlato ma muto?

Noi abbiamo sempre nutrito una naturale propensione verso una musica e verso un arrangiamento che fosse visionario, abbiamo sempre usato questo termine nel senso che non ci siamo mai accontentati di ricercare una progressione armonica o melodica che fosse soltanto bella in sè o che avesse un senso soltanto dal punto di vista musicale o dell’emozionalità musicale, siamo sempre stati attratti dall’idea di creare qualcosa di visivo che venisse fuori sentendo la musica e immaginando qualcosa, un contesto, un quadro, molto dei CSI ha avuto questa forza. L’accostarsi ad un film muto del 1920 è stato qualcosa che ci ha attratto immediatamente, ovviamente non l’avevamo mai fatto prima e ci siamo buttati a pesce, succede sempre così, siamo molto curiosi e ci piace andare a scoprire cose che non abbiamo fatto prima. In realtà il fatto che fosse muto era anche un vantaggio, abbiamo cercato di giocare ai massimi livelli questa tensione accompagnando musicalmente ma in maniera molto diretta e molto semplice. Siamo anche andati a contrasto però le musiche dei CSI, che sono state anche molto sfruttate per quel disco, si prestavano benissimo a espressioni terrifiche del fantasma o scene d’amore. E’ stato un viaggio molto naturale che è stato divertente.

Potremmo definirti "alchimista del suono" che attraverso la sperimentazione e la ricerca nel canto vuole trovare nuove strutture per comunicare?

Mah, "un’alchimista del suono" non propriamente anche perché io non suono ma canto, non suono nessuno strumento e sono sempre stata troppo pigra per applicarmi in maniera seria. In realtà è una ricerca di emozionalità che io vado sempre più a cercare.

Ritieni che utilizzare la voce sia come imparare a suonare uno strumento. La voce non è uno strumento?

Sì, è il più fisico ed emotivo degli strumenti e lo adoro per questo. A volte sei lì che componi e ti senti che non suoni uno strumento che ti servirebbe, anche zampettare su una chitarra ti può aiutare, io questo non l’ho mai potuto fare, c’è stato sempre Francesco alle spalle che era un grande alter-ego perché siamo molto cresciuti in questo senso. Il mio viaggio, però, è stato di ricerca sulla voce ed è quello che sto continuando a fare. Non ho mai frequentato questo genere di cose, questi canti che venivano da lontano, che portavano con sè significati di vita, significati storici, bellezze, dolori, passioni, ma interpretare questi repertori della nostra tradizione italiana e anche sperimentandomi in altre lingue, ho scoperto un’ampiezza di vocalità che ancora non conoscevo ed è stato per questo che mi sono tuffata con grande curiosità e amore verso qualcosa che mi sta dando delle emozioni veramente belle e sto scoprendo di avere delle corde forse anche adatte per rappresentare un mondo antico che non c’è più ma che è carico di bellezze e carico di significati per tutti noi ancora.

Questo incrocio è iniziato con il viaggio a Mostar con i CSI?

Sì, lì è stato un primo nutrimento in questo senso. Ho iniziato a conoscere di più la musica balcanica, c’è stato un primo approccio vocale in una melediola più tardi che è stata mongola, l’interpretazione di Ederlezi, sono state piccole perline che mi sono arrivate addosso e che non mi sono andata a cercare ma che ogni volta sedimentavano qualcosa. Quindi poi una volta finita l’esperienza dei CSI e dei PGR mi sono sentita libera di andare ad approfondire qualcosa che era sempre rimasto come una gran bella sensazione e non più di quello, adesso sto studiando un pò di più.

Ascolta intervista audio a Ginevra Di Marco.

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