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Francesco Facchinetti cantante, disc jockey, conduttore radiofonico, televisivo e scrittore. Una carriera artistica che ha sempre avuto come riferimento la musica prima come Dj e successivamente come conduttore radio e tv.

Al microfono di Patrizio LONGO incontriamo Francesco Facchinetti per raccontare del primo libro “Quello che non ti aspetti”. Un romanzo, forse, autobiografico che racconta la storia dei ragazzi nati, come lui, negli anni ’80. Ciao Francesco!

Ciao! Come stai?

Io bene, e tu. Indaffarato ad esprimere questa creatività in tutti i campi, attraverso queste varie forme di comunicazione. Come ti trovi?

Davvero molto bene, anche perché non me l’ha ordinato il dottore, per cui lo faccio con amore. E se qualcuno mi proponesse una vacanza di quattro anni alle Hawaii rifiuterei. Sono contentissimo di stare in mezzo al ciclone: si rischia di farsi male… ma anche di farsi bene, per fortuna. Fino ad adesso, a grandi linee, mi è andata bene.

Ricordiamo la tua carriera, partendo proprio da questi ultimi giorni, con “Quello che non ti aspetti”. Un’autobiografia che ti vede esordire nel campo dell’editoria. Com’è nata l’idea di scrivere un libro autobiografico?

In realtà non è un’autobiografia: è un romanzo, e ti spiego perché. L’autobiografia è molto auto celebrativa, per cui racconta di cose più o meno famose che accadono ad un personaggio noto. Io invece ho voluto raccontare il lato B di un ragazzo, figlio degli anni ’80, che si è trovato a vivere tutto quello che gli anni ’80 e ’90 hanno dato ai giovani come me. È un romanzo molto moderno, e quindi ha tanto di autobiografico, però ha un tipo di scrittura tipico del romanzo.

L’ho scritto perché volevo far vedere la mia generazione da un altro punto di vista, e credo che la prospettiva sia importante. Il libro parla di un ragazzo che torna a casa e la trova completamente “stuprata” da ladri che hanno fatto man bassa di tutto, e che hanno tirato fuori da cassetti e armadi delle cose che per lui hanno un forte valore affettivo. È un libro in presa diretta in cui, nell’arco di tre ore, il protagonista – che alla fine si scopre chiamarsi Francesco – ritrova delle fotografie, dei profumi, delle lettere, dei vestiti, dei dischi, dei poster che non trovava più da anni. Ripercorre la propria vita, la propria infanzia e la rimette in gioco. Spiegando così, a chi legge il libro, il perché di tante cose: il perché una persona si comporti in un modo piuttosto che in un altro.
Un po’ un decoder, ecco, che serve per far capire tante cose, perché io mi son trovato in tante situazioni in cui mi son detto : «Il mio interlocutore prima o poi capirà…». Non hanno mai capito. E allora ecco questo libro, il decoder. Se ti va di leggerlo capisci tante cose. Questo è un libro che va alla scoperta di tante cose, e che parla appunto di ciò che uno non si aspetta.

Come ti poni rispetto ad internet ed alla tecnologia, visto che comunichi sia con mezzi tradizionali che tramite la rete ed il tuo sito internet?

Attraverso la tecnologia faccio praticamente tutto. Ho un ufficio che cura tutti i social network di cui faccio parte, da Facebook a MySpace fino a YouTube ed al mio sito, francescofacchinetti.it. I dati alla mano parlano chiaro: i giovani trascorrono molto più tempo utilizzando internet che qualsiasi altro media, quindi per comunicare con loro occorre passare dalla rete. Stiamo facendo le cose più disparate: tramite il mio sito abbiamo organizzato un concorso per gruppi, abbiamo varato il primo music-blog – in cui la gente posta canzoni che vengono votate e commentate. Alla fine di ogni mese la canzone che vince entra in una compilation che stamperò io fra tre mesi, allo scadere del concorso. Inoltre, proprio in questi ultimi giorni, ho scoperto su YouTube un ragazzo di nome Francesco, che fa gli scherzi telefonici più allucinanti che io abbia mai sentito e che è il primo YouTube-comico in Italia. Ha superato anche Beppe Grillo.
Sono andato a casa sua e ho fatto gli scherzi da lì. Se andate su YouTube, e cercate “scherzi telefonici holamentecontorta”, vedrete gli scherzi che ho fatto insieme a lui. Cerco di stare a contatto con tutte queste persone, perché in qualche modo hanno qualcosa da insegnarmi, e mi piace condividere le nostre esperienze insieme. Internet oggi è forse il mezzo di comunicazione più veloce, diretto e targettizzato che ci sia.

Parlando ancora di televisione, riprendo un input che hai lanciato pocanzi. Con le tue diverse esperienze nel mondo dei reality, come leggi le critiche che diversi personaggi del mondo dello spettacolo hanno mosso nei confronti di questi programmi?

Credo che non volessero generalizzare, e credo che la televisione abbia perso un po’ quello che era lo spirito della fine degli anni ’60 e degli anni ’70 – ’80, che era uno spirito più libero. Significava fare televisione più tranquillamente, e prepararsi di più. Oggi siamo tutti dei ragionieri, chiusi dentro schemi, mentre un tempo le cose venivano meglio perché la base era più forte, e quindi si poteva anche improvvisare. Sui reality io posso solo dire la mia: si tratta di un’esigenza della nostra società.

Troppa televisione generalista, quindi. Pochi programmi settoriali e troppe cose che sono la copia di altre?

Bisogna vedere cosa vuole vedere la gente. Se il pubblico esige quella roba lì, allora la televisione – che è un mezzo di comunicazione che comunica quello che la gente vuole – deve fare quella roba lì. Nel momento in cui ci sarà una rivoluzione, sicuramente tutto si trasformerà. I reality si sono già ridotti di numero, dallo sproposito iniziale ne son rimasti quattro. Appena c’è l’esigenza di cambiare, si cambia.

Mi racconti la tua esperienza di doppiaggio del cartone “Robots”?

Davvero molto bello. L’altro giorno l’ho rivisto in televisione e ho riso per due ore. Una cosa va detta ad alta voce: l’Italia ha i migliori doppiatori del mondo.

Infatti!

In quel cartone animato, che contava circa 120 personaggi, c’erano davvero tutti i più grandi. Lavorare a stretto contatto con loro mi ha dato la possibilità di imparare a fare un lavoro nuovo. Per me è stato molto difficoltoso, perché in quel caso io non potevo recitare col mio accento, con i miei difetti. Ho sentito Fabio Volo in “Kung-fu Panda”, che l’ha addirittura fatta in bresciano, o Claudio Bisio in “L’era glaciale”. In quel caso era un personaggio che, comunque, era un bambino, con la complessità che questo comporta. È stato un lungo percorso, che ha richiesto cinquanta ore di lavoro duro, difficile. Sono dovuto andare a scuola di dizione ed imparare le pronunce corrette… cose che non avevo mai imparato in vita mia.

Un lavoraccio, ma molto bello?

Sì, perché quando vedi la tua voce applicata ad un’immagine così bella… beh, è una figata. Se guardi il risultato al cinema non ci credi neanche, che sei te.

Francesco Facchinetti a microfono di Patrizio LONGO. Guardando al passato, a collaborazioni importanti, parliamo di quella con  Claudio Cecchetto: la “Canzone del Capitano”, disco d’oro 2003 e tormentone dell’estate. Un incontro importante, sul tuo percorso artistico?

Importantissimo! Importantissimo perché Claudio è in assoluto il numero uno, non esiste un altro produttore discografico come lui, è un genio. E quando stai a contatto con i geni, puoi solo sperare di imparare il più possibile. Speri che ti dia più consigli possibile, perché quelli sono il bagaglio che ti porterai dietro tutta la vita. Devo ringraziare lui se sono arrivato dove sono, e soprattutto se ho un metodo nel mio lavoro. Anche se non sembra, io sono abbastanza schematico, sono uno stacanovista, uno che riesce a fare trenta cose insieme: sono molto versatile perché, appunto, sono molto focalizzato. Ed è lui che mi ha dato questa possibilità. Abbiamo cominciato insieme questo percorso artistico perché, per uno strano caso, ci siamo trovati, e appena è successo ho cominciato a riempirlo di idee.

Lui mi ha messo subito in radio, e mi ha detto: «Ora devi stare per forza in radio, e devi fare per otto mesi la pianta.» «Cioè?» «Devi osservare.» E io per otto mesi sono rimasto fermo a guardare quello che lui faceva, e basta. Dopo otto mesi abbiamo cominciato a lavorare, e successivamente mi ha chiesto di sviluppare la sigla di quello che era il mio vecchio programma in radio, che gli sembrava forte. Era il ritornello della “Canzone del Capitano”. Io l’ho sviluppata, e da lì… Il disco è uscito il 2 maggio, il 3 sono andato a chiederlo in un negozio di dischi e mi hanno preso per pazzo, e poi per chissà quale motivo sono balzato al primo posto e ci sono rimasto per dodici settimane, con quello che ne è conseguito.

Ci puoi dare un’anticipazione su quello che stai vivendo in questo periodo. C’è il libro in promozione?

Sono contento, perché in questi anni ho cercato di seminare parecchio e piano piano queste pianticelle stanno crescendo. Prima dicevo che questo libro serve a vedere le persone da un’altra angolatura, da un’altra prospettiva, ed è quello che anch’io sto cercando di fare. Quando si intraprende un percorso artistico, bisogna sempre intraprenderlo dal primo gradino, il che vuol dire farlo nel modo più naturale e diretto possibile. Io sono partito dai bimbi, che sono le persone più dirette che esistano, con un lavoro molto focalizzato su di loro, e da lì ho fatto partire il mio percorso. Ora, piano piano, sto cercando di far vedere prospettive mie: sono passato dalla radio, alla televisione, alla scrittura perché ci sono varie caratteristiche che fanno parte di me, e io che io conosco. È come se fossi su una teglia e stessi girando lentamente, facendomi vedere nella mia totalità. In questo momento, ovviamente, la concentrazione è su X-Factor e su Scalo 76.

È il grande ritorno delle musica dai tempi di “Discoring”?

Sì, che è sempre di Claudio (ride). Però siamo anche rimasti gli unici, ci hanno decimato. Cerchiamo di contestualizzare la musica, il che significa che non esistono più le esibizioni fini a sé stesse in cui l’artista arriva, canta e se ne va. No, l’artista ci deve raccontare qualcosa, anche perché è questo che vuole il pubblico.

Quando un Artista fa un’esibizione standard, decontestualizzata, la gente se ne va, lo dicono i dati. Quando invece si ferma e racconta perché è lì e perché ha scritto quella canzone, e poi la canta, la gente non solo rimane, ma aumenta. Per cui, dati alla mano, è stato solo naturale cercare di modificare Scalo 76 rispetto all’anno scorso. Così come rispetto a parecchi altri programmi di musica, e portarlo in questa direzione. Ci sono dei grandi talk show, all’interno dei quali i cantanti partecipano attivamente e dicono la loro, e spesso e volentieri si tratta dell’argomento che poi andranno a cantare. È successo con Grignani, per esempio. E la gente rimane, perché vuole ascoltare l’artista, il proprio beniamino, cantare, e stanno ad ascoltare quello che l’artista sta dicendo.

Questa è la strada che abbiamo intrapreso, ed è una strada molto lunga, ma già in queste prime puntate ci siamo presi delle belle soddisfazioni.

È quello che abbiamo fatto anche noi in questi pochi minuti in cui un’artista si è raccontato.

Bisognerebbe farlo spesso! Per fortuna io son logorroico.

Francesco, ti ringrazio per la disponibilità! Un mega in bocca al lupo per tutto!

Grazie a te! Crepi!

Ciao Francesco!

Ciao!

Ascolta intervista audio.

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