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Un altro appuntamento, un altro incontro ha inizio! Io sono Patrizio Longo, la voce che vi sta parlando, e questa sera al microfono di Extranet, Stefano Isidoro Bianchi. Buonasera Stefano!

Ciao Patrizio, e ciao a tutti gli ascoltatori.

È sempre un piacere enorme riaverti… riaverti all’interno dei nostri spazi musicali. Un articolo in particolar modo, apparso nel numero 78 di Blow Up (quindi parliamo del numero di novembre 2004) ha colpito la nostra attenzione. Quindi poi ci sembrava giusto risentirlo anche direttamente dalla tua voce, e capire un attimo… capire un attimo quest’aspetto. Parliamo delle number station, e volevamo capire, come dicevo poc’anzi, un attimo la storia e tutto quello… per quello che possiamo sapere… tutto quello che naviga intorno al mondo dei messaggi cifrati.

Mah, senti, io non so moltissimo, in realtà… e questo magari ti sorprenderà… non ne so moltissimo di più rispetto a quello che puoi saper tu o rispetto a quello che ho appreso da questo cofanetto. Le mie memorie più antiche delle onde corte, delle “short waves”… che sono onde che, normalmente, diciamo oggi credo proprio che nessuno ascolti, o forse semmai qualcuno l’ha fatto. In realtà, diciamo, di gente comune, tra virgolette “normale”.

Certo, anche perché, nelle nuove radio, credo che sia stato proprio eliminato il pulsante delle mezze frequenze?

È eliminato, si, nelle autoradio non si possono sentire perché si ascolta solo l’FM, la modulazione di frequenza e le onde medie. Le onde corte, nella mia memoria – ahimè, purtroppo posso ricordamelo – che con le vecchie radioline, eran delle radio… eran delle radio in cui tu sentivi le lingue più improbabili, per cui intuivi… io intuivo, da ragazzino, capivo, sapevo che erano… che si trattava di radio, di emittenti non italiane. Eh, beh, questo non ci voleva molto perché parlavano nelle lingue più improbabili. Io credo di non aver mai sentito l’italiano. Poi, sinceramente, nella mia memoria le number stations, che sono in particolare l’oggetto del Conet Project, non le ho… non me le ricordo, non le ho mai sentite. Poi ho iniziato a interessarmi di musica, soprattutto negli anni ’90, le “short waves” compaiono in molti dischi – se voi fate caso – in molti dischi, diciamo, di avanguardia o comunque di musica sperimentale. Alcuni musicisti vengono accreditati alle “short waves”.

Ricordo per esempio un Thurston Moore, dei Sonic Youth, in uno dei loro dischi, forse nel doppio celebrativo “Goodbye 20th century”.

Sì.

Le “short waves” in realtà… tu cercavi di capire che cosa sono: son le onde corte, in pratica. In realtà è esattamente questo, cioè… alcuni musicisti, in questo tipo di ambito, le utilizzano modulandole in volume, in timbro… perché producono dei suoni, dei rumori, non so come altrimenti descriverli, che se, ovviamente, modulati in maniera appropriata possono… danno un suono particolarmente nuovo che è difficile, forse anche impossibile, rintracciare, come dire… in natura, negli strumenti tradizionali. Sono state usate, vengono usate, regolarmente come strumento. Ora, il mio interesse più particolare, e che mi ha fatto arrivare al Conet Project, era stata proprio la… l’utilizzo che ne avevano fatto i Wilco, nel loro disco “Yankee Hotel Foxtrot”, che era un titolo che mi incuriosiva. Non si riusciva a capire che cosa fosse, se fosse il nome di un hotel o che altro.

In realtà è semplicemente una frase ripetuta, per diversi minuti, da una delle number stations. Le number stations sono delle emittenti, molto particolari, che trasmettono nelle onde corte… perché, mi son dimenticato di dire prima, le onde corte sono le uniche onde – fra quelle che è possibile usare – che riescono, che coprono le lunghissime distanze, anche tutto il pianeta.

Per cui una radio, una stazione radio, un’emittente radio che trasmette nelle… in onde corte riesce, praticamente, a fare anche il giro del mondo, io credo.

Tecnicamente non ne sono del tutto sicuro, non sono un esperto, ma riescono a coprire lunghissime distanze.

Sì.

Storicamente queste onde radio sono state utilizzate, e vengono ancora utilizzate, a quanto ne so… anche se ovviamente Internet e tutto quello che gli sta intorno hanno, come dire, rivoluzionato molti universi tra i quali, presumo, anche questo… anche se poi Internet, comunque, forse è addirittura più controllabile rispetto… la rete di Internet rispetto anche alle onde radio.

Un discorso sul quale si possono poi avere differenti opinioni. Internet rappresenta un contenitore di informazioni senza alcun controllo?

Assolutamente, assolutamente, perché infatti io sono assolutamente convinto che… Internet è un po’… lascia delle tracce, questo voglio dire. Tutto quello che noi facciamo in Internet lascia delle tracce. È ovvio che anche una stazione radio lascia delle tracce, su questo non ci sono dubbi. Però io ho l’impressione… ma, credo che si tratti di un altro discorso… ho l’impressione che Internet possa essere molto più controllabile di quello che in realtà non sia, o non si pensi che sia. Le onde radio, in realtà, appunto, sono state utilizzate… visto che coprono lunghissime distanze, soprattutto dai servizi segreti.

Questo storicamente, soprattutto in epoca di guerra fredda. Perché… semplicemente perché gli agenti segreti riuscivano inevitabilmente… provo a pensare, proviamo a pensare a un universo senza internet e senza i cellulari – i telefoni cellulari che anch’essi ovviamente sono estremamente ben controllabili – era difficile un agente segreto, ora per assurdo e per semplificare, un agente segreto americano a Mosca o viceversa, un agente segreto russo a New York, come poteva trasmettere le sue informazioni evitando il telefono? Che ovviamente era il mezzo più rapido ma più controllabile. Appunto,molto spesso venivano utilizzate le onde corte. Per cui, per tornare al cofanetto di cui parlavo nell’articolo, molto semplicemente c’è stato un pazzoide che ha ben pensato che… in realtà è un pazzoide che pubblica anche altri dischi con la sua etichetta, che è la Irvial Records, pubblica anche dischi di musica, appunto, ancora una volta d’avanguardia o sperimentale, se vogliamo.

Questo pazzoide ha ben pensato di registrare una serie di trasmissioni, che poi significa persone che parlano e dicono cose apparentemente incomprensibili, come, per esempio: «Yankee», una pausa, «Hotel», un’altra pausa, «Foxtrot», un ‘altra pausa, e questo ripetuto magari per ore. Ora, questo che senso ha? Con ogni probabilità ha un senso ritmico, per cui, se io dico: «Yankee Hotel Foxtrot», faccio una pausa di 5 secondi: «Yankee… Hotel… Foxtrot»… significa già un’altra cosa. Come dire… sono linguaggi da crittografare. I Wilco presero questo particolare… questo particolare… questa frase, queste tre parole in particolare per titolare il loro penultimo disco. E le presero dalla pubblicazione di questo Conet Project, che è uscito in origine nel ’97 ed è stato ripubblicato proprio adesso… ed è una cosa estremamente curiosa.

Estremamente curiosa e interessante: ovviamente, dal punto di vista strettamente musicale non ha più di tanto, perché non si tratta di musica, anche se ci sono dei toni ripetuti, ritmicamente ripetuti, dei suoni strani, dei brusii, delle parole che si mescolano a brusii… Una serie, un linguaggio cifrato, una serie di linguaggi cifrati, evidentemente, che però hanno un loro fascino particolare.

Perché se tu li… piazzi i cd e cominci… piazzi il primo dei cd , che sono 4 tra l’altro, e inizi ad ascoltarli, ovviamente lì per lì puoi avere la stessa reazione che hai di fronte ad un disco di avanguardia o di musica sperimentale particolarmente eccentrica. Poi, piano piano, entri in questo flusso… e riesci, praticamente, non dico ad apprezzarlo, perché non è qualche cosa che si può apprezzare come tu apprezzi, appunto, un disco dei Wilco. È qualche cosa, però, che può risultare però estremamente intrigante, estremamente interessante.

Sentire queste voci, sentire di capire che cosa dicono… che ovviamente molte parlano in inglese, ma altrettante non parlano in inglese, sono lingue improbabili, i suoni, i rumori. Tutto questo universo… registrato e lasciato a futura memoria, come dire, per i posteri, per l’epoca delle number station. Che oggi, ripeto, sono sicuramente molto meno utilizzate ma sono ancora, comunque, utilizzate. Tutto qua. Sostanzialmente è la testimonianza, di come… è una delle possibili testimonianze di come il mondo della comunicazione grossomodo tra il ‘90… tra l’85 e il ‘95, ‘96-‘97, perché la prima pubblicazione di questo quadruplo è del ‘97, appunto… in questa decina d’anni, il mondo della comunicazione ha compreso anche questo universo nascosto delle number station, cioè le stazioni dei numeri, le stazioni che trasmettono numeri, perché molto spesso si tratta anche di frequenze di numeri, apparentemente casuali… certamente non casuali, perché chi è che si mette a trasmettere i numeri casualmente… però tu stai lì a sentir dei numeri: «Uno, tre, quattro, cinque», poi magari un tono musicale…

Certo, è qualche cosa magari di curioso e da prendere con le molle: non si tratta, appunto, di musica. Si tratta di qualche cosa che però coinvolge anche l’universo musicale, perché, non a caso, molti di questi frammenti sono poi stati utilizzati – e possono essere utilizzati – per un utilizzo, appunto, musicale. Chi ascolta, frequenta, conosce, segue le musiche sperimentali o, se vogliamo, d’avanguardia, se vogliamo definirle così, sa benissimo che poi molti dei suoni che vengono utilizzati sono suoni innaturali, sono suoni “concreti”… cioè, scusami, “naturali”, cioè suoni concreti, suoni carpiti alla natura, suoni che sono poi innaturalmente modificati all’interno di un processo compositivo musicale, fino a diventare qualcosa di profondamente altro. Per cui in un cofanetto di questo tipo, che, tra l’altro, voglio dire, ognuno di noi potrebbe costruirsi – è questo, anche, il senso di un’operazione di questo tipo… si possono reperire, si possono trovare tanti piccoli spunti, tanti piccoli spunti, di qualunque tipo.

Io poi ho azzardato scherzando, facendo dell’ironia, chissà mai , una conversazione tra Bush e Bin Laden che magari si mettono d’accordo su come far saltare le Due Torri… ovviamente è una roba ironica, un’idea ironica, però, certamente, i servizi segreti, i governi che li hanno… che hanno utilizzato le stazioni… questo tipo di stazioni radio in questo tipo di onde, li hanno utilizzati indubbiamente anche per questo.

Per far passare dei messaggi?

Per far passare dei messaggi, sostanzialmente si tratta di materiali… sul serio che scottano. Cioè, passavano da qui, le informazioni che poi in qualche maniera regolavano… regolavano il mondo…

Degli equilibri, certo?

Gli equilibri del mondo. Non solo loro, ma anche le mafie, anche associazioni grosse, ovviamente associazioni a delinquere, per passarsi i messaggi. Questo secondo me ha un fascino molto particolare: è un punto, è un feticcio, è un reparto d’epoca del quale, con ogni probabilità. Epoca della quale, con ogni probabilità, fra venti, trent’anni non avremo più traccia, perché saranno altre le maniere che utilizzeremo e che i governi utilizzeranno, e che magari utilizzano già da adesso.

Però, ripeto, ha anche un suo fascino, nonostante tutto ha anche un suo fascino sonoro, più che musicale. Ecco, un fascino sonoro, nel senso che questa… questa litania di suoni rumori, numeri… può coinvolgere, ecco, può coinvolgere.

Stefano, facciamo a una veloce fotografia per l’ultimo numero dell’anno, il numero 79. Cosa ci riserva questo numero, se non… una particolare agevolazione per coloro che sono abbonati, come dicevamo qualche giorno fa attraverso il nostro incontro telefonico?

Sì, dunque… intanto questo numero esce… abbastanza… diciamo che è abbastanza voluminoso, perché ha 150 pagine. La nostra intenzione sarebbe quella di mantenere le 150 pagine e riuscire… riuscendo, cercando di dare in ogni caso, a chi legge, qualche cosa di più. Questo numero… si, c’è anche una forte pubblicità, che poi ripeteremo anche nei prossimi numeri, per l’abbonamento… per l’abbonamento postale. Perché in ogni caso permette, a chi legge, un risparmio, e perché, direi soprattutto, probabilmente il passo che stavamo attendendo… chi legge e chi fa riviste in Italia, non solo ovviamente musicali… il passo che doveva esser fatto da molti anni, le Poste Italiane probabilmente, e io voglio sperarlo, l’hanno fatto.

E cioè, uniformare la spedizione delle riviste a quella che è la media non solo europea, ma direi occidentale in generale, che è una spedizione, un recapito delle riviste in abbonamento molto celere. E, devo anche dire che, questo primo esperimento, questo primo mese attraverso questo nuovo servizio che si chiama “Posta press 24ore”, così faccio un po’ di pubblicità alle Poste, perché dopo tanti anni direi che se la meritano e se la meritano anche… non se la meriterebbero ma…

Dopo averne sentite e fatte tante, soprattutto?

Appunto, a questo punto forse se la meritano… e funziona in maniera assolutamente straordinaria, cioè, non posso dire altro perché, veramente, in un giorno solo il giornale è arrivato.

Quindi, speriamo che questa sia anche una svolta per riuscire ad avere la rivista con tempi sicuramente più veloci, come dicevi tu, rispetto al passato?

Guarda, io posso dirti che la spedizione di dicembre è stata straordinaria, io non ho mai visto una cosa di questo tipo, perché veramente in un giorno è arrivato dappertutto. La faccio forse fin troppo lunga su questo aspetto, però è un aspetto che coinvolge e che… anche molti altri aspetti. In Italia le riviste, di qualunque tipo, ovviamente, non solo quelle musicali, si sono sempre vendute in larghissima parte, ma veramente in percentuali altissime del 98-99%, in edicola, mentre all’estero avviene quasi il contrario.

Il contrario, certo.

In Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti, di edicole ne esistono… negli Stati Uniti pochissime, in Europa in generale non molte, e le riviste vendono in percentuali del 70-80% attraverso il servizio postale. Questo non è un fatto secondario, perché permette e, in prospettiva, lo permetterà anche ai lettori (immagino di tutte le riviste, e di sicuro a quelli di Blow Up) di risparmiare molto. Perché se… voglio dire, se uno dovesse vendere tutte le copie che vende della propria rivista attraverso un abbonamento postale, non dovrebbe stampare la marea di copie che, invece, è costretto a stampare per riuscire a raggiungere molte edicole. Non tutte le edicole, ovviamente, ma molte edicole.

Sì.

Per cui, perdonate questa lunga parentesi, dedicata agli abbonamenti, ma è qualche cosa che, in realtà, realmente rivoluziona, perché la prospettiva delle riviste che vendono… magari dovesse mai arrivare… la prospettiva delle riviste che vendono soprattutto in abbonamento postale apre veramente scenari assolutamente nuovi, per il risparmio, per la possibilità di… tantissime possibilità che possiamo immaginare, di contatto diretto tra la rivista e chi l’acquista, che sono profondamente diverse, e che aprono, appunto – ancora una volta – scenari molto particolari per il futuro.

Poi ancora una marea di articoli: appunto ripeto, 150 pagine, da Joy Beltram a Ayler, che è uscito con un grande cofanetto… uscito, beh, insomma, è stato pubblicato un grande cofanetto, un cofanetto molto importante che mette un po’ di ordine (non tutto l’ordine immaginabile, ma molto ordine) nella sua discografia. Poi, ancora: Delgados; la “Compact”, un’etichetta importantissima per quanto riguarda la minimal techno americana; Thalia Zedek, che ci racconta i suoi dischi da “Isola deserta”; Woven Hand, che è poi il cantante dei 16 Horsepower in veste solista; John Butcher; Solex; una lunga e importante intervista agli Hex², una band storica, una delle più grandi band della prima ondata punk, una delle pochissime, tra l’altro, ad essere sopravvissuta in grande, grande, grande forma. Il “Juke-box all’idrogeno”, che è la nostra sezione dedicata al passato, con Mario Schifano, personaggio misconosciuto ma fondamentale della pop-art italiana, le Raincoats; Swell Maps… una nuova rubrica che si chiama “Prewar Folk” (files), che si occuperà del country, del blues di anteguerra, di prima della Seconda Guerra Mondiale.

Poi, ancora, “Italiani bravi gente”, ancora un’altra rubrica in cui ripescheremo nomi della musica italiana, concentrandoci su quelli degli anni ’70 e ’80, proprio perché inseriti all’interno della sezione “Juke-box all’idrogeno”.. questo è quanto!

Ci sono veramente tantissime, tantissime pagine da leggere con attenzione, per scoprire… per scoprire poi buona parte della musica che abbiamo in circolazione. Perfetto, Stefano, io ti ringrazio come al solito per la disponibilità, e ci sentiamo alla prossima, va bene?

Grazie a te, e alla prossima.

Buona serata, un abbraccio!

Ciao!

Ascolta intervista audio.

Foto via Flickr

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