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A ritmo di bossanova e jazz suona il nuovo lavoro per Stefano Bollani, raffinato compositore della scena italiana. Incontriamo al microfono di Patrizio LONGO l’Artista presente nel cartellone di Salento Negroamaro, rassegna delle culture migranti della Provincia di Lecce per parlare di “Carioca” il nuovo disco.

Al ritmo di bossa nova contaminata con del jazz, incontriamo, in occasione del suo tour italiano e del suo ultimo lavoro che guarda all’America Latina, Stefano Bollani! Buongiorno Stefano!

Ciao, buongiorno!

Ed eccoci qui al microfono di Patrizio Longo con Stefano Bollani, per parlare di questo percorso che parte, appunto, dalla samba per andare a farne delle riletture passando alla bossa nova ed al jazz. Quando ti sei innamorato di questo stile e di questa cultura?

Più o meno è avvenuto in contemporanea con il mio amore per il jazz. Avevo 14 anni, ascoltavo e suonavo jazz da due o tre anni, quando ho sentito un disco molto famoso: un incontro tra Jao Gilberto & Stan Getz con Jobin al pianoforte e ho cominciato a chiedermi di cosa si trattasse. Ho cominciato a diventare un divoratore di dischi di musica brasiliana, soprattutto bossa nova, quindi di Joäo e dei suoi epigoni: Caetano, Chico Boarque, Gilberto Gil. Suonavo insieme ad una cantante di Firenze, Barbara Casini, che era esperta. Abbiamo inciso dischi e lavorato molto dal vivo, su queste cose. Ultimamente ho scoperto gli antenati della bossa nova, il samba e lo shoru, che sono due generi molto più “popolari” e che quindi molto più raramente sono stati riletti in chiave jazzistica. L’idea è stata quella di provarci.

E da qui poi è nato “Carioca“, questo ultimo lavoro che ti vede protagonista nelle principali location italiane e che tra l’altro ti ha regalato un bellissimo incontro all’Umbria Jazz.

In tutte le interviste degli ultimi anni, e potete controllare, alla domanda: «Qual è il tuo sogno nel cassetto?» io ho sempre risposto: «Fare qualsiasi cosa con Caetano Veloso». C’è stato questo bellissimo incontro in virtù del fatto che lui aveva ascoltato il disco, e conosce molto bene alcuni musicisti che suonano con me. Per cui ha ascoltato il disco, gli è piaciuto, e ci siamo incontrati a novembre. Abbiamo iniziato a parlarne e sono nati questi due concerti insieme, Perugia e Cagliari. È stata un’emozione incredibile per me, anche se a posteriori, perché in quel momento non ho pensato che stavo duettando con Caetano, altrimenti non avrei mosso le mani sul pianoforte. Si tratta di una situazione emotiva un po’ strana, perché io lì per lì non mi sono emozionato come avrei dovuto. Ma ora che ci ripenso, ogni volta che me lo chiedono, dico: «Ho suonato con Caetano Veloso!» Se ci penso troppo smetto di suonare, perché era il mio sogno nel cassetto: ora la mia carriera è praticamente in discesa.

Assolutamente no! Stefano Bollani: un carattere eclettico, che ti porta a improvvisare, a non avere mai una scaletta precisa, uguale in tutte le date, e soprattutto a coinvolgere il pubblico. Il pubblico diventa parte attiva di questo Bollani “Carioca”, ma che ruolo svolge, nello specifico?

Quasi lo stesso ruolo che svolgono il luogo, il pianoforte che mi trovo sotto le dita, l’umore che abbiamo noi sul palco, il suono, quello che abbiamo mangiato, il nostro essere stanchi o operativi… Insomma, fa parte di questa serie di cose che fanno si che ogni concerto sia diverso. Ovviamente il pubblico è una delle più importanti, forse la seconda dopo il pianoforte. Come tu ben sai i musicisti si ritrovano con uno strumento diverso ogni sera, e se il pianoforte non ti piace non c’è pubblico che ti possa salvare. Per fortuna, al livello a cui stiamo suonando, trovo sempre pianoforti bellissimi, per cui passiamo al secondo posto della classifica: il pubblico diventa protagonista. La reazione del pubblico è importantissima: ieri sera abbiamo suonato a Milano e c’erano molti brasiliani, che ovviamente sono più caldi degli italiani perché sono contenti di riascoltare dei brani che per loro sono popolari e che in Europa non suona nessuno. Per cui era tutto un altro feeling rispetto agli altri concerti. Erano molto più caldi, per cui tu suoni in maniera diversa. Magari non meglio, ma sicuramente in maniera diversa.

Un live, questo di Bollani Carioca, che non guarda solo all’ultima composizione, ma che, rispettando un carattere di eclettismo, guarda anche a vecchie composizioni. Con quale sguardo: una rivisitazione, un ripresa, o una nostalgia di un tempo passato?

Come sempre, come fanno molti jazzisti, si utilizza materiale antico per inventare qualcosa di nuovo. Sono sempre pretesti: pre-testi. Nel senso che uno utilizza queste cose non per nostalgia… nel mio caso, non ero in Brasile all’epoca, come non ero in America quando scrissero “My funny Valentine” o “All the things you are”, né ero in Italia quando scrissero “Parlami d’amore Mariù” o “Ma l’amore no”, eppure sono repertori che affronto volentieri. Credo sia perché quel periodo è stato particolarmente creativo, forse anche perché c’era la guerra – parlando dell’Europa – e quindi è un periodo ancora tutto da esplorare. Sempre che uno lo faccia con gli occhi del musicista contemporaneo, altrimenti si tratta semplicemente di far finta di vivere in quel periodo. È una cosa molto diversa, e sa di nostalgia.

Abbiamo parlato di punti d’arrivo, come poteva essere quello con Caetano Veloso, che hai incontrato. Ed Enrico Rava, il tuo mentore. Posso definirlo così?

Enrico è senz’altro la persona più importante per la mia vita, in tutti i sensi. Suoniamo insieme da 12 anni, inciso 16 dischi insieme e fatto di tutto. Grazie a lui ho conosciuto le persone più importanti, produttori che hanno prodotto i miei dischi, da Pierre Valfisse di Label Bleu, a Manfred Hicker dell’ECM, a Tetsuo Hara in Giappone, a Tokyo. Mi ha insegnato un sacco di cose senza mai dirle, solo standomi accanto e facendomi percepire il carisma e mostrandomi la direzione. Parlando di musica solo molto raramente: noi ci scambiamo opinioni sui libri, parliamo di politica, di attualità, ma pochissimo di musica. La musica la suoniamo.

Mi farò portavoce di questo messaggio, visto che a breve incontrerò Rava…

Viene a suonare qui, tra poco!

Facciamo un accenno al Bollani scrittore, quello di “L’America di Renato Carosone”, oltre anche alla “Sindrome di Brontolo”. Un tributo ad un grande maestro della musica italiana come Carosone?

Sì, mi avevano chiesto di scrivere un libro su una canzone, e io ho scelto al volo “Tu vò fa l’americano”, che mi serviva in realtà per parlare di Carosone, che è stato il mio primo amore, perché in lui c’era tutto: il pianista diplomato, con una solida preparazione, innamorato del jazz e del ragtime, con una tradizione solida alle spalle che è la musica napoletana. E poi la voglia di divertirsi, ed il modo di coinvolgere il pubblico nel cantare. A undici anni mi sono innamorato di questo personaggio, e ne sono innamorato tuttora, in definitiva. Nell’altro caso si tratta di un libro che scrivevo per conto mio, nei tempi morti… infatti vorrei scriverne un altro, ma i tempi morti stanno diminuendo, per cui non riesco a farlo. Era rimasto nel portatile per quattro anni o cinque anni. Coccolavo questi cinque personaggi, gli facevo fare cose che poi ho tolto quando è stato il momento di pubblicarlo. L’ho asciugato parecchio, per farlo diventare una cosa leggibile anche dagli altri. Il dubbio era che nessuno capisse nulla di questo libro, il che può darsi che sia vero tuttora, però mi ha fatto piacere vedere che i commenti erano veramente molto diversi tra loro. Siccome speravo che questo libro fosse un’opera aperta, per dirlo laico, ho scoperto che almeno questo ha funzionato. Non so poi cos’è arrivato del libro, ma quelli che hanno commentato hanno detto, per esempio: «Tristissimo, affondi il coltello nel sociale.», oppure: «Mi sono divertito un sacco.» Se un libro fa fare due riflessioni così diverse o non c’è dentro nulla, oppure, molto più semplicemente, ci sono dentro cose che danno spunti diversi a seconda di chi lo legge. Spero che sia la seconda.

Come si coniugano la vita professionale e la vita affettiva di due persone che vivono la stessa vita e che condividono anche l’ambio lavorativo. Tu e la tua compagna, Petra Magoni, andate mai in conflitto?

No, sul lavoro non entriamo mai in conflitto, perché non usciamo mai insieme. Abbiamo risolto in questo modo, però è molto difficile.

Ma vi confrontate qualche volta?

Sì, sulle scelte lavorative quasi sempre. È molto difficile perché ovviamente è già molto difficile per un musicista, in generale, avere una famiglia. Figurati se anche lei fa lo stesso lavoro, perché ci si comprende, ma fino ad un certo punto, perché poi entrano in gioco l’ego, la carenza d’affetto… Non è facile, ma la sfida era quella: riuscire a mettere su una famiglia e a fare anche il musicista. Chissà…

Hanno scritto tanto su Bollani. In chiusura del nostro incontro volevo sottolineare la tua presenza sul settimanale di Topolino.

Cosa posso dire, io quello non me l’aspettavo, ma mi hanno voluto intervistare e mettere in copertina insieme a Paperoga, perché ho spiegato loro che è il personaggio che mi piace di più. Ho guadagnato un sacco di punti presso i bambini che vanno a scuola con mio figlio.

Ti sei garantito le nuove generazioni!

Sì, esatto, li devo coltivare da piccoli, così tra qualche anno, quando hanno la paghetta, vengono a vedermi.

Un Bollani tra i fumetti…

Io ho cominciato a leggere grazie ai fumetti, e sono tuttora un grande appassionato. Soprattutto di Linus e di fumetti americani di nuova generazione come The Boondocks e Doonsbury, che leggo da trent’anni. Tutti mi dicono: «E cos’è?». Eppure esce su Linus da anni… ho tutte le raccolte! Anzi, è un periodo che sto tornando bambino…

“Andiamo avanti guardando al passato”, potremmo concludere così il nostro incontro.

Tradizione e rinnovamento.

Grazie a Stefano Bollani, per essersi raccontato al nostro microfono. In bocca la lupo per questa bellissima ascesa. Alla prossima!

Grazie, crepi il lupo! Ciao!

Ascolta intervista audio.

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