A breve in distribuzione il nuovo lavoro per Sikitikis dal titolo “B” (il mondo è una Giungla per chi non vede aldilà degli alberi). Un disco dalle molteplici interpretazioni, lavoro riflessivo che guarda al nostro vivere sociale ricordando abitudini dimenticate in Italia.

Alessandro Spedicati ritorna al microfono di EXTRANET per raccontare questa nuova avventura, in cui il sentimento è alla base del nuovo disco.

Il prossimo 5 di marzo verrà distribuito il vostro nuovo lavoro, “B” (il mondo è una Giungla per chi non vede aldilà degli alberi)?

Proprio così, non vediamo l’ora. È passato molto tempo dal primo disco (Fuga Dal Deserto Del Tiki) e ora siamo molto impazienti.

Faremo una festa al Fabrik di Cagliari, esattamente come accadde per il primo. Un dj set con Diablo e Jimi in consolle, e si potrà acquistare il disco ad un prezzo irrisorio. In quell’occasione presenteremo anche il nuovo merchandising… sarà una bella scusa anche per incontrare un po’ di vecchi amici.

Il vostro secondo lavoro, “B”, rappresenta una serie di cose: un punto su una linea, l’idea di saper aspettare una riflessione sulla vita?

Ci è sembrata da subito una lettera affascinante, la “B”. Fin dall’inizio eravamo orientati a trovare un titolo che fosse rapido e incisivo, che potesse avere richiami al nostro immaginario, ma anche ad una condizione vitale.

“B” è apparso immediatamente come un titolo perfetto: B come b-movie, come lato-b, come serie b, come le vite che non si vedono, come i film che non prendono premi, come le canzoni che la massa dimentica… Ma anche piano-b, la seconda possibilità che ogni uno dovrebbe avere e dare, o fase-b, la seconda parte di un percorso… Ecco già un ampio ventaglio di significati che confluisce in una sola lettera.

Cosa è cambiato rispetto al precedente?

In primis noi e la nostra consapevolezza, ma anche l’esperienza live accumulata in questi tre anni.

”Fuga Dal Deserto Del Tiki” ha rappresentato la prima tappa di un processo di studio che i Sikitikis hanno intrapreso dal 2000. Con “B”, il secondo passo, abbiamo cercato di lavorare con maggiore compattezza fin dalla primissima fase creativa.

Il risultato è un lavoro più coerente, che rappresenta bene il percorso che la band ha fatto fra il 2005 e il 2007 sul palco, negli ascolti, nelle visioni e nella vita.

Il lavoro potremmo definirlo come una riflessione del nostro vivere sociale?

Con questo disco c’è sicuramente un ulteriore tentativo di comunicare una vera e propria atmosfera dell’anima, a noi non interessa tanto descrivere i tempi che corriamo ma piuttosto siamo attirati dal ciò che succede dentro l’essere umano mentre fuori di lui accade il crollo.

Ci incuriosisce sapere se e come ci accorgiamo degli smottamenti che spostano l’assetto della nostra società.

Ovviamente siamo consapevoli di quanto sia complesso trasferire tutto questo in musica, e non pretendiamo di aver centrato l’obiettivo. Ma, come dicevo precedentemente, quello che stiamo affrontando è un percorso, e anche in questo senso la strada da battere è lunga.

Chi è “Little Lu”?

In verità il soggetto importante della canzone non è questa fantomatica Little Lu, bensì il punto di vista di un osservatore che si mette nella condizione di scegliere fra le infinite possibilità di visione che la vita gli offre.

Little lu è la donna che abbiamo a fianco, non come è ma come noi la vediamo.

In “Storia d’amore” parlate di un Italia che non c’è più. A quale periodo vi riferite?

La canzone fa immergere l’ascoltatore in un’atmosfera molto antica. Due uomini parlano con coraggio e dignità di una donna ammaliatrice e ambigua di cui entrambi sono stati vittima.

C’è un connotato romanzesco che di rado si trova nelle canzoni attuali, e che era, invece, importante quarant’anni fa, quando questa canzone fu scritta.

Da poco ho letto un libro di memorie di Dino Risi. I suoi racconti, le vicissitudini, gli aneddoti, sono quelli di un ‘Italia che non esiste più, quell’Italia in cui qualsiasi vita poteva diventare un romanzo o un film.

Mi sembra che oggi non sia più così.

Un lavoro riflessivo anche nella citazione di Wu Ming. Quando vi siete avvicinati a questi pensatori contemporanei?

È già da diverso tempo che seguiamo con particolare attenzione la nuova onda degli scrittori italiani, almeno una decina d’anni.

Ci piace pensare che non ci sia alcuna differenza fra il lavoro del musicista e quello dello scrittore o del regista, e nel caso di Wu Ming questo viene ulteriormente rafforzato dal fatto che anche loro, come noi, lavorano come una band.

Le affinità si scoprono ancora maggiori quando si pensa che apparteniamo alla medesima generazione e abbiamo fatto esperienze di vita simili.

Siamo molto attirati, inoltre, dalla visione di una letteratura così profonda nella costruzione poetica del romanzo e nel contempo così accurati nella ricerca storica, troviamo che sia un’attitudine molto cinematografica.

Cosa vi aspettate da questo disco?

Poco o nulla. Siamo un gruppo in movimento costante, fermarsi per crearsi delle aspettative non fa parte della nostra natura.

Pensiamo che un disco sia il termine di una fase di ricerca, non l’inizio.

Questo ci aiuta a non pensare troppo a ciò che è passato e a tenere lo sguardo attento sul progetto.

“Grazie alle nostre Famiglie per il supporto incondizionato, a Max per essere uno della band quanto e più di noi, a Daniele Garzia e Giacomo Casti per le suggestioni.” Quali suggestioni?

Per Max intendiamo il Casacci. La sua fiducia nei Sikitikis risulta, a volte, addirittura imbarazzante.

Quando abbiamo iniziato a collaborare con lui non esisteva nemmeno l’idea di Casasonica.

Ci conosce bene, musicalmente e umanamente, conosce la nostra città, sa quali sono le nostra atmosfere e da dove nasce il nostro modo di fare ironia. Critico e costruttivo: è il nostro osservatore perfetto.

Daniele Garzia è un nostro collaboratore, in tour è il ragazzo che vende le magliette e i dischi. È molto giovane e troviamo sia anche un musicista di talento. Spesso viene richiesta la sua opinione in fase creativa ed è sempre in grado di fornire un’apertura interessante del nostro immaginario.

Giacomo Casti è un antropologo, scrittore e amico di vecchia data. E’ lui che, a Cagliari, organizza il più importante festival letterario: Marina Caffè Noir, che coinvolge un intero quartiere con quattro giorni di spettacoli completamente gratuiti. E’ sempre importante per noi il suo parere sui testi, le metriche, le atmosfere dei brani.

Sono stati, tutti e tre, persone particolarmente importanti in tutto il periodo di lavorazione del disco, dalla stesura dei brani al mixaggio.

Il disco sarà anche acquistabile attraverso i nuovi canali di diffusione?

Direi soprattutto. Saranno pochi i dischi acquistabili per via tradizionale. La rete sarà il canale più importante. Gli esempi di distribuzione alternativa arrivano oramai da tutto il mondo e crediamo sia necessario adeguarsi ai tempi con relativo anticipo.

Crediamo anche che possa essere un segnale importante da inviare alle grandi case discografiche… Non sarebbe bellissimo far capire a questi che non abbiamo bisogno di loro?

Sikitikis

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