Hanno saputo raccontare con ironia e un pizzico di stile scandalistico il costume degli italiani, in un periodo dove il termine “social” non si conosceva ed allo stesso tempo, con gusto prettamente underground, hanno affermato la propria identità come band. Sono gli Squallor, protagonisti di della scena italiana anni ’70 e ’80 che ritornano in uno speciale, per merito di Carla RINALDI e Michele ROSSI, a raccontare e conoscere ancora più nel dettaglio il “gruppo-scandalo”.

Come nasce questa sorta di progetto tributo? Nasce per caso, una sera d’inverno. Un guizzo di un momento e poi tanto lavoro in seconda battuta. Carla ha chiesto ad un amico se avrebbe mai comprato un dvd sugli Squallor, e lui ha detto che non solo lui, ma tanti, lo avrebbero fatto. Allora ci siamo buttati in un’avventura che presto si è dimostrata essere molto più complessa e coinvolgente del previsto.

Savio, Bigazzi, Cerruti, Pace sono personalità creative che hanno rivoluzionato ed evidenziato un costume popolare andando contro lo stile borghese del tempo?

Indubbiamente, oggi sarebbe impensabile che qualche discografico, qualche paroliere o produttore già apprezzato, ci mettesse così tanto la ”faccia”. È vero anche che erano tempi molto diversi, non si viveva con la paura di un licenziamento imminente, non c’erano i politici con il fiato sul collo. Paradossalmente essendoci una censura molto ingombrante, appena si trovava il modo di beffarla, non si correvano più tanti rischi.

Gli Squallor erano talmente affermati che non si ponevano certo la domanda se fosse il caso o meno di sbugiardare il mondo musicale che in quel momento tenevano in pugno. Cerruti era direttore artistico e bocciava e approvava le canzoni, Bigazzi era produttore e paroliere, Savio compositore, pace scriveva per quasi tutta la musica italiana. È chiaro che nell’ambiente chi sapeva di loro storceva il naso, molti gli erano anche ostili, ma erano a un tale livello di posizione che tutt’al più avrebbero smesso se proprio fossero insorte insieme politica, censura, etichette discografiche. Se ne fregavano altamente.

Una discografia importante da Troia, Vacca, Pompa, Arrapaho, Uccelli d’Italia e tanti altri successi. Era celata sotto l’irriverenza il successo della Band?

Era proprio il marchio distintivo. La provocazione era alla base dei loro dischi. Senza di essa non avrebbero avuto senso. Erano irriverenti con gli stessi cantanti che producevano o scoprivano, sbeffeggiavano la politica, la Milano da bere, chi andava in vacanza con la barca a Saint Tropez, con la televisione, con la storia stessa, con la corrida, con gli USA, con l’URSS. Non c’è nessuna canzone che non finisca con un doppio senso. Prendi per esempio ”mi ha rovinato il 68”: musica da pelle d’oca, voce intensa di Savio, testo spettacolare. In poche righe hanno fatto quello che filosofi, scrittori, sociologi non sono riusciti a sintetizzare in centinaia di tomi. Raccontano di un ragazzo che decide di andare a Milano, prende parte al movimento studentesco, si arrabatta, indossa l’eskimo, si sforza a diventare intellettuale e ala fine cosa succede?

Il vero motivo che lo spinge a fare tutto questo è poter conoscere ragazze e dopo che tutto il periodo finisce nemmeno si ricorda più di essere stato un idealista. Gli importa solo di vivere nell’agio ed essere riuscito a diventare ricco. Non è forse quello che è successo davvero? Quanti “fracassamaroni” hanno vissuto da giovani in questo modo e ora sono al potere, trasformati in bacchettoni, moralisti e avidi? È un capolavoro assoluto questa canzone.

Tra Carla e Michele come avete suddiviso il lavoro?

Carla scrive, ha avuto l’idea del documentario e si è occupata di ricerche e contatti. Michele ha girato il lavoro e lo ha interamente montato. Insieme a loro grande supporto lo hanno dato Gianni Valentino che si è occupato dei contatti e delle ricerche, e Diego Fatone, che certosinamente ha ripulito le immagini sporche, ha corretto il suono, ha fatto tutte le grafiche.

Gli Squallor sono sempre stati abbastanza restii alle pubbliche apparizioni, forse è stato proprio questo il successo del loro stile?

Si, e non avrebbe avuto senso che apparissero. Erano molto carismatici in sala di incisione ma molto poco sul palco. Forse solo Daniele Pace aveva l’aplomb da showman – e infatti lo ha fatto qualche volta – ma né Bigazzi né Cerruti avrebbero osato. Erano proprio restii e il fatto che gestissero tutto da dietro le quinte ne accresceva il fascino.

Il un primo contatto per la realizzazione del docu-film?

Il documentario era pronto da due anni e non facevamo che ricevere sempre le stesse risposte: è bellissimo, è commerciale, avrà un successo strepitoso, finalmente un doc sugli Squallor, hanno migliaia di fan, farete il botto ma ci risentiamo ok? Questo era destabilizzante perché sapevamo di avere un prodotto spacca tutto tra le mani e non ci capacitavamo di come molti nell’ambiente preferissero distribuire lavori sui minatori birmani, o su un coniglio rosa che ripeteva sempre tre frasi, oppure su vecchie fiction degli anni ’80. C’era qualcosa di strano. Se su internet, per strada, nelle edicole, tutti lo invocavano, chi invece avrebbe potuto distribuirlo aveva preferito dire di no. Allora piano piano abbiamo capito cosa fossero sono le lobby: molti di coloro che ci avevano snobbato, promuovevano poi prodotti indecenti che vendite bassissime. Mi ricordo un noto giornale italiano che ci chiese di pagare i resi di tasca nostra; una nota casa di distribuzione ci chiese invece di firmare un contratto in cui cedevamo tutti i diritti al 100%.

Hai capito bene?

Così ci siamo detti: “ok ci abbiamo provato, non siamo amici di nessuno, nessuno ci deve un favore, basta capitolo chiuso”. Certamente non lo avremmo mai mostrato al pubblico se prima non avessimo avuto almeno una speranza. Poi un giorno mi chiamò Paolo Dossena della Cni Music, una etichetta indie seria, ed in nemmeno un mese avevamo già firmato un pre-contratto, sano e rispettoso. E siamo partiti nella nuova avventura della distribuzione. Così abbiamo partecipato subito ad un festival per fare un po’ di battage, poi abbiamo vinto come miglior documentario indipendente al Festival di Napoli. Questa vittoria ci è stata utile, perché se ne è cominciato a parlare – pensa che al Festival di Napoli ci hanno ri-proiettato per tre volte diverse perché la ressa era così tanta la prima volta che si era bloccata una strada della città! In ogni intervista potevamo finalmente dire che stavamo per uscire con la Cni e, ora che è in distribuzione, sentiamo che sta andando bene, e leggiamo su internet di persone che lo hanno acquistato estasiati. Dopo cinque anni stiamo raccogliendo i frutti.

Diversi gli Artisti che nel lavoro raccontano il ricordo della Band. É stata una selezione naturale?

Si, e abbiamo dovuto dire basta ad un certo punto. Dopo due anni da nomadi le interviste erano già tantissime, ogni giorno mi chiamava Gianni Valentino e mi diceva che un cantante che aveva saputo del lavoro voleva dire la sua, che un musicista avrebbe voluto partecipare. La nostra selezione iniziale però era stata fatta sulla base della ragione, su chi ci aveva lavorato in Cgd, i cantanti prodotti, gli amici più stretti, gli epigono più simili, poi però abbiamo dato lo stop. Tu devi considerare che per ogni intervista bisognava partire, aspettare anche mesi, davvero, dopo due anni eravamo stremati. Avevamo percorso l’Italia in lungo e in largo senza sosta per ben due anni. Ormai il materiale c’era, era abbondante, tanti intervistati ci avevano anche date dritte per persone che non avevamo considerato. Eravamo soddisfatti e potevamo iniziare a montare. Ti dico solo che quando Michele ha iniziato il montaggio avevamo tappezzato un’intera casa di post it con i plot e i sub plot da seguire per il filo logico. il materiale era impressionante.

Ci veniva da piangere. Michele ha montato un lavoro che richiederebbe minimo l’aiuto di sei aiuto montatori. Non esagero. Avremmo dovuto fotografare i chilometri di fogli.

Ci saranno altre edizioni di questo lavoro?

Non lo so. La versione da 85 minuti è stata presentata al Napoli Film Festival. La versione integrale è nel dvd. Credo che basti così. Certo abbiamo ancora un girato inutilizzato per circa 100 ore!

Qual è l’obiettivo del doc? Vendere tanto ed entrare nei dizionari del cinema.

Adesso a cosa avete intenzione di lavorate?

Un documentario su Mina. Acquista il dvd degli Squallor

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