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È definito il cantate Dandy italiano. Mille sfaccettature caratterizzano i suoi lavori, lo abbiamo conosciuti nei Bluvertigo ed apprezzato con l’album che ha segnato l’esordio da solista “Canzoni dell’Appartamento”.

Morgan al microfono di EXTRANET per raccontare della prima sonorizzazione nel lavoro “Il suono delle vanità”.

“Contraddizioni” è il singolo che interpreti in questa raccolta. A cosa si riferisce il titolo di questa canzone?

L’idea della canzone nasce da Luca Urbani, che è l’autore-motore di questa operazione. Le sue contraddizioni, alle quali mi associo, sono le naturali contraddizioni che ci sono nella mente umana. Che non spaventano, ma che sono vitali, che sono il continuo incontro-scontro oppure il dubbio; dubito quindi sono. La prova dell’esistenza, e dell’intelligenza, è che ci si possa contraddire, che si possa cambiare opinione, si possano avere opinioni in evoluzione. Contraddizioni che non sono spaventose e non sono paralizzanti, ma sono contraddizioni vitali alla mente, al lavoro dell’intelligenza, delle sinapsi del cervello.

Sei definito il cantante dandy italiano, ci parli del tuo rapporto con la musica di Fabrizio De André e di quanto ti rispecchi nella sua personalità?

Io penso di essere profondamente diverso da Fabrizio De Andrè ma, in virtù del discorso fatto prima, anche in qualche modo simile. Ultimamente ho stretto un’amicizia con Dori Ghezzi, la moglie di Fabrizio De Andrè, e mi ha raccontato com’era Fabrizio nel privato. Ed è stata lei a dirmi che ci sono dei tratti di somiglianza tra noi. Ad esempio il fatto che lui componesse di notte, che in qualche modo fosse attratto dalla notte e respingesse il sole, un nemico della luce; in questo mi sento abbastanza simile a lui. A volte mi sento abbastanza simile anche per quanto riguarda una certa poetica sociale, nel senso dell’incarnare le voci dei più deboli, le voci di quelli che non hanno voce. De Andrè, molto più di me, è stato il portavoce degli individui che nella società subiscono il potere gli abusi e le prevaricazioni degli altri, dei prepotenti. In questo mi identifico molto, un giorno vorrei essere così.

Nel tuo primo album da solista, “Canzoni dell’appartamento”, avevi pensato di inserire il singolo “Il cantico dei drogati”. Come mai la scelta ricadde su questa canzone, dalla struttura così differente dalle altre di De André?

Perché mi emozionava molto questa canzone, il fatto che il ritornello dicesse, “come farò a dire a mia madre che ho paura”. In effetti non è associabile agli altri pezzi di De Andrè, ma l’idea del “Canto dei drogati” è altrettanto profonda. Perché normalmente per “drogati” intendiamo persone chiuse, che per riuscire a reggere l’impatto con l’esistenza si devono drogare, e difficilmente riescono ad esprimere la sofferenza. Se la tengono dentro. E quindi un canto dei drogati è un tentativo di liberazione, di una confessione, di una risoluzione che è già un primo passo verso la soluzione dei propri problemi. Mi era piaciuta molto e mi identificavo in questa canzone, l’ho registrata ma non l’ho inclusa nell’album. Però ce l’ho, esiste, prima o poi la farò uscire postuma.

Adesso una domanda sull’album “Il suono delle vanità”. L’ultima traccia del disco, “Storia d’amore e vanità”, risulta una sound track molto bella. Quanto le tue canzoni sono autobiografiche?

Questa è una mia diversità rispetto a De Andrè. Pare che lui facesse canzoni costruendo un poco le storie sugli altri, ci sono pochissime canzoni di De Andrè autobiografiche. Forse una delle poche è “Valzer per un amore”, che addirittura parla in prima persona. Invece normalmente le canzoni di De Andrè andavano proprio a descrivere storie altrui, quindi storie di personaggi. Le mie canzoni, per la maggior parte, partono da considerazioni inerenti alla mia vita personale, alle mie esperienze, a quello che il mio io sente di fronte al mondo, di fronte alle cose e alle situazioni. In questo caso la storia di “Amore e di vanità” è proprio una canzone che definirei terapeutica, catartica, perché in quel periodo venivo da mesi di musica strumentale. Innanzitutto, per il film andava fatta una musica di commento, fatta di puri esperimenti sonori elettronici, sonorizzazioni di sound designing, un lavoro di elettronica abbastanza pesante e approfondito, di manipolazione, di sintesi digitale e analogica; un lavoro di suono. Mi andava di scrivere una canzone che tirasse un poco le somme della vanità, e ho letto le metamorfosi di Ovidio dove appunto si parla della storia di Eco-Narciso, e così come ci viene tramandata, e sappiamo cos’è il narcisismo basandoci anche grazie al terzo libro delle metamorfosi. Io, partendo da una corretta descrizione o parafrasi del testo in latino, ho sovrapposto questa alla mia vita personale, riferendomi ad una mia relazione amorosa dove le parti di Eco e Narciso vengono invertite, io sono Eco e lei è Narciso e ho parlato di me. Quindi dopo mesi di musica strumentale ho tirato questa voce, ma è la voce di Eco che poi non è altro che un’inutile tentativo di un canto, servito forse a me, ma non certo a recuperare le fila della vicenda.

Se parliamo di maestri della sperimentazione come consideri Brian Eno e Philips Glass?

Personalmente mi piace di più Brian Eno, anche se di Philip Glass apprezzo molto il lavoro fatto con il film di Koyaanisqatsi, un film di immagini e musica, diciamo un lunghissimo videoclip dove la musica di Philip Glass è veramente eccellente. Per il resto non sono un super fan di Glass perché è come se il suo minimalismo si esaurisse in poche cose, e poi diventasse ripetitivo e un poco noioso. Invece Brian Eno è un altro tipo di musicista, anche perché si è sempre definito un non musicista, probabilmente anche con un poco di modestia o di finta tale; ma è un grande organizzatore di suoni, fa dei ragionamenti sui suoni è una specie di matematico della musica.
Quello che mi piace è il suo lavoro nel pop, con gli U2, con gli Ultravox, con i Talkin Heads, e anche come tastierista, come uomo del sintetizzatore con i Roxy Music e soprattutto con David Bowie. L’apporto di Brian Eno è sempre molto riconoscibile e fondamentale. È come se la manata, la zampata di Brian Eno determinasse il genere musicale. Cioè uno prende un gruppo come gli AC/DC, con lui che fa delle manipolazioni o qualcosa di misterioso con i sintetizzatori, e automaticamente la musica diventa musica elettronica ai massimi livelli. È un poco come se il suo tocco fosse come quello di Re Mida, trasforma tutto in oro.

Che rapporto hai con internet?

Ho un rapporto ossessivo con internet, lo utilizzo fondamentalmente quando devo fare delle ricerche, e quando inizio non la smetto più e mi ritrovo alla sette del mattino – avendo iniziato a mezzanotte – che sono ancora sullo stesso argomento a cercare. Finisco esausto e devo prendere un sonnifero.

Grazie per esser stato con noi a raccontare la tua idea di fare musica.

Grazie a te!!!


Ascolta intervista audio a Morgan.

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