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In teatro con Ragazze il nuovo spettacolo che racconta e disegna la donna nella società moderna a confrontarsi con numerose sfide.

Al microfono di Patrizio LONGO incontriamo Lella Costa ben trovata.

Grazie!

In teatro con Ragazze, dicevamo, per delineare il modello della donna di oggi e per far riflettere lo spettatore?

Innanzitutto per far divertire lo spettatore e la spettatrice. “Divertire” in senso ampio, non solo nel senso delle risate… anche se penso che si rida parecchio… anche raccontando storie, indicendo la riflessione senza fare proclami, o puntando su dibattiti e sul solo contenuto. Credo che negli spettacoli si debba divertire, incantare, trasportare altrove. M’interessava tornare ai temi del femminile che sono stati alla base del mio lavoro e che mi sono sempre molto cari. Negli ultimi mesi è maturata un’inquietudine nei confronti dei temi che riguardano le donne, quindi volevo fare uno spettacolo che riguardasse la contemporaneità senza però scendere nella cronaca o nelle battute sulle ministro. Anche perché credo che non riguardino gli spettatori. Ho ripreso il mito per eccellenza, quello di Orfeo ed Euridice, poi divago, creando uno spettacolo che nel complesso mi dicono essere affascinante.

È per questo che accosti tre grandi autori come Shakespeare, Eliot e Calvino. Quali sono i punti che li accomunano?

Una domanda da professore (ride)… Shakespeare era nel mio spettacolo precedente, ma in tutti c’è una citazione di Eliot, che è il mio poeta del cuore. Ho sempre il suo libro sul comodino, è uno di quegli incontri che ti cambiano la vita. Un’altra costante è la presenza di una canzone di Tom Waits, anche se le musiche sono originali, di Stefano Bollani… e scusate se è poco. E anche in questo spettacolo c’è Calvino; non credo che ci siano punti in comune, perché penso che quelli dipendano dalla nostra interpretazione. Nascono dalle risonanze, dalle suggestioni e dagli innamoramenti che ci suscitano, o dalle passioni che ci illuminano e ci fanno vedere le cose da un altro punto di vista. Direi che questi autori hanno la capacità di raccontare il mondo cambiandoti lo sguardo ed il tuo punto di vista sul medesimo.

Guardando al tuo precedente lavoro, Alice e una meraviglia di paese, potremmo definirla una fotografia del vivere quotidiano. In un Italia in continua contraddizione, come valuti la situazione del paese in questo momento?

La vedo come credo facciano tante persone, tanti cittadini: come uno scollamento sempre più totale ed irreparabile tra la vita vera, le questioni “alte” che turbano la vita delle persone, e la politica, la cosiddetta “rappresentatività”. Mi sembra che mai come in questo momento ci sia una distanza abissale, e credo che prima o poi ci sarà la necessità di trovare nuove forme di aggregazione, perché così c’è solo spaesamento, contraddizione. C’è solo l’apparente impossibilità di agire, la sensazione di impotenza totale: questo dirsi “in questo paese le cose non cambieranno mai”. Io in passato ho chiesto ai miei cari di abbattermi, qualora avessi detto una cosa del genere, e temo di essere arrivata a quel punto lì. Per amarezza, per le energie dissipate, per l’incapacità di intercettare tutto ciò che fosse nuovo, sensibile, diverso… è un po’ un paese così. Per fortuna però è vero anche il contrario: i teatri sono pieni di gente attivissima e attentissima, che ha quasi una “fame” di tutti questi incontri diversi da quelli omologati. Speriamo, e puntiamo su di loro.

In una parola, Alice e una meraviglia di paese è un viaggio tra favola e fantasia?

Sai, in realtà la “meraviglia di paese” non è solo l’Italia, ma tutto il mondo, la realtà di oggi. Alice è stato un pretesto. Sicuramente la bellezza dei grandi racconti surreali e fantastici è che ci permettono, se ne abbiamo voglia, di usarli come lente d’ingrandimento per ciò che ci succede intorno. E se, invece, non ne abbiamo voglia, sono comunque delle storie fantastiche da ascoltare.

Ed alla fine dello spettacolo, riservato a pochi, l’onore di complimentarsi con l’interprete in camerino. Cosa ti raccontano?

Purtroppo devo dire che adesso, con le leggi sulla sicurezza nei teatri (la 626, ecc.) non c’è modo di portar nessuno nei camerini, a meno che questi non abbiano accessi direttamente dal palco. Sembra una scortesia da parte dell’attore, ma io adoro incontrare il pubblico dopo lo spettacolo. Anche perché mi sembra una straordinaria dimostrazione di affetto e di stima: hanno già visto lo spettacolo, pagato il biglietto, applaudito, e in più hanno questa voglia di parlare direttamente con te. Una delle cose più belle è che di solito vengono a ringraziarti, per dirti quanto gli è piaciuto e quanto ci si sono ritrovati. Con questo spettacolo in particolare, mi vengono a dire: «Non lo sapevo, ma avevo proprio bisogno di sentirmi dire queste cose.» La cosa bella di questo mestiere, poi – soprattutto per come lo faccio io, che non interpreto personaggi “altri” ma sono sempre io che racconto storie in prima persona – è che il pubblico si sente autorizzato a saltare i preliminari e provare una sorta di amicizia, di rapporto reciproco. Questo è un regalo straordinario, perché arrivi a parlare davvero con le persone, non soltanto “buonasera” e l’autografo, anche se va bene anche quello. Ma il più delle volte c’è un riconoscersi, che è davvero molto bello.

Lella Costa ha l’abitudine di alternare l’impegno teatrale con raffinate apparizioni televisive e radiofoniche?

“Raffinate” è una parola un po’ forte. Anzi, dal momento che mi sono chiesta se limitare le apparizioni ad una certa “nicchia” non fosse un po’ fine a sé stesso, adesso mi si può vedere spesso in una trasmissione dal contenuto nazional-popolare del primo pomeriggio, di RaiDue. Mi invitano a parlare di vari argomenti: io ne evito alcuni come la peste, ma mi sembra giusto cogliere l’occasione di allargare la condivisione, e di arrivare a parlare con persone che di norma non fanno parte del mio pubblico referente, istintivo o naturale. Quanto alla raffinatezza, mi piacerebbe, ma c’è assai poco di raffinato, ormai, in televisione: prendiamo quel che c’è. La radio è un’altra cosa, ogni tanto permette delle incursioni davvero preziose, per fortuna.

Da spettatrice, che rapporto hai con la televisione?

La vedo poco nelle ore in cui la vedono gli altri, perché la sera lavoro. Provo sempre un po’ di amarezza, perché penso che la televisione è stata una grande occasione perduta. Mi dispiace che ne venga fatto sempre quest’uso apparentemente teso ad abbassare continuamente il livello della qualità e ad omologare tutto. Io non pretenderei mai che non facessero certe trasmissioni, soprattutto certi reality, solo perché io non li guardo. Però mi piacerebbe che accanto a quelle sacrosante scelte che ne fossero altre accessibili, e in orari accessibili, non sempre confinate alla terza serata, alla quarta serata o al primo mattino. Io poi la televisione la vedo in orari strani: di notte, dopo lo spettacolo, guardo vecchi film e sceneggiati televisivi. Oppure si finisce sempre per guardare i telefilm americani o i Simpson, che almeno sono scritti in modo televisivamente impeccabile.

Lella Costa al microfono di Patrizio Longo. Quanto è importante per un artista reinventarsi?

Tanto. È molto importante, oltre che strumentale, provare a costruirsi un’identità, una riconoscibilità. Il fatto di essere un’attrice che fa solo monologhi da molti anni, da un lato non è un limite, perché è una cosa che so fare, dall’altro credo che sia meglio evitare di riproporre sempre lo stesso cliché che poi diventa un tormentone. Il pubblico sembra essere attratto dagli artisti che sono molto riconoscibili, sempre molto sé stessi, ma non ti sorprendono. Invece io credo che sia doveroso sorprendere il pubblico, rischiando magari che uno spettacolo piaccia meno di un altro, o di sentirsi dire: «Sì, ma mi piaceva di più quando faceva altro.» Pazienza! Credo che però venga sempre riconosciuto lo sforzo, il lavoro, il percorso riconoscibile in cui un’artista non si ferma ma cerca di andare avanti.

Fra le diverse tecniche di comunicazione teatrale, personalmente ammiro quella del monologo. Mi racconti come nasce, e quali sono le difficoltà?

Nasce, innegabilmente, da una specie di vocazione che uno trova in sé. Nel mio caso è stato anche molto supportato dal fatto che io e l’agenzia che mi produce lavoriamo insieme veramente da tantissimi anni – 23, 24 anni – e abbiamo iniziato e continuato unicamente con le nostre forze, non abbiamo nessun tipo di finanziamento, né pubblico né privato, ed effettivamente il monologo è una cosa molto agile, che ti permette di arrivare senza avere troppi costi di gestione, di allestimento. Sono valutazioni importanti, per la parte tecnica. A me, poi, piace tantissimo stare sul palcoscenico, e c’è quello che considero l’enorme privilegio di essere autrice o co-autrice dei testi: questo mi dà una libertà straordinaria alla quale, credo, farei fatica a rinunciare. Al di là del dividere il palco con qualcuno – che mi piacerebbe, se trovassimo un progetto comune – c’é la libertà di modificare il testo a seconda di come si evolve lo spettacolo, delle reazioni del pubblico… non è mai un lavoro uguale a sé stesso, ma è in perenne movimento.

Una domanda apparentemente contraddittoria: Lella Costa è anche autrice di libri: quanto un lavoro teatrale può e deve diventare un libro?

“Deve” sicuramente no. “Può”, ma io non sono un’autrice di libri, di fiction o di saggi – per carità, ce n’è anche troppi – e non saprei farlo. Ho pubblicato i miei testi teatrali, quelli che una volta si chiamavano “copioni”, e questo è nato dalla considerazione che, alla fine dei miei spettacoli, spesso mi sento dire: «Però sarebbe bello averli a leggere.» Allora, unicamente basandomi su questa considerazione, dal ’92 ho pubblicato con la casa editrice Feltrinelli gli spettacoli che ho fatto. Secondo me non sono dei testi letterariamente particolarmente apprezzabili: credo che un pezzo teatrale, quando lo leggi, ti debba far sentire la mancanza di qualcosa, che può essere l’interpretazione, la presenza fisica dell’attore, le luci, la scenografia, il movimento… tutto quanto. È semplicemente una testimonianza, un diario di bordo. Come dire: «Ecco, adesso sono arrivata fin qui.» E se qualcuno ha piacere o voglia di andarsi a rileggere le cose che ho raccontato in giro per l’Italia negli anni, questo è un supporto cartaceo.

Parliamo della collaborazione con Alessandro Baricco: scrittore malinconico, a volte perfino drammatico, e poi ironico. Quanto ti rispecchi in lui?

Io e Alessandro Baricco abbiamo collaborato solo in occasione del mio spettacolo del ’96, e poi non abbiamo fatto altro insieme. Non posso dire che ci sia una particolare corrispondenza. Nello specifico, lui ha scritto una storia che fa da filo conduttore a quello che è forse il mio spettacolo più replicato negli anni, che è Stanca di guerra. Perché, appunto, parlare di guerra rimane sempre di attualità, benché i decenni volino via. C’è stato, quindi, quest’unico episodio; io poi ho apprezzato molto le cose le lui ha scritto – soprattutto le prime, onestamente, mentre ultimamente mi sfugge un po’ dove voglia arrivare. Ha fatto, recentemente, una sortita sulle pagine di Repubblica dicendo che lo spettacolo è finito e che non bisogna assolutamente più finanziare il teatro e la cultura in generale, perché non serve. Francamente mi ha lasciata un po’ perplessa (ride) e quindi in questo momento non mi rispecchio particolarmente in lui, anche se ritengo che sia un autore assolutamente significativo nel panorama dell’Italia contemporanea.

Possiamo chiudere questo incontro con uno stralcio da un monologo, a tua scelta?

Ma no, io non son capace di fare queste robe qui… è in qualche modo contro natura. Nel senso che i pezzi che sono pensati per uno spettacolo hanno davvero bisogno di tutto quello che c’è in teatro. Io non sono capace di estrapolare delle battute o dei pezzettini e poi metterli lì. Davvero, non è una civetteria. Preferisco raccontarmi, e lasciare il repertorio in teatro. Perdonate questa piccola sottrazione di me stessa a questa richiesta. Spero di non essere maleducata, ma proprio non saprei cosa dire.

Venite a vedere lo spettacolo?

Ecco, questo sì! Questo è meglio!

Grazie a Lella Costa!

Grazie mille!

In bocca al lupo per tutto, alla prossima!

Ascolta intervista audio.

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