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Giobbe Covatta il comico napoletano che ha sempre dimostrato durante il percorso artistico una particolare sensibilità per il sociale.

Il suo impegno lo porta fin dal 1994 a diventare rappresentante del Amref, la fondazione la cura dei bambini in Africa.

In questo periodo è in tour nei teatri italiani con Seven lo spettacolo scritto da Covatta insieme Paola Catella e con Giosi Cincotti e Ugo Gangherida.

Ed eccoci qui, al microfono di Patrizio Longo, per incontrare Giobbe Covatta. Benvenuto!

Bentrovato, a te e a tutti quelli che ci stanno ascoltando!

Abbiamo appena avuto il piacere di vedere il tuo ultimo spettacolo, intitolato Seven. Si tratta di uno spettacolo di comicità spietata, ai limiti della satira?

“Definire satira”, come dice il computer. Io tento di fare il mio mestiere, che è quello di raccontare alla gente quello che vedo, e l’opinione che mi faccio guardando quello che vedo. A volte mi riesce meglio, a volte peggio, ma non saprei dire se si tratta di satira. Ai limiti? Boh, non lo so!

Durante la tua carriera, hai sempre riservato una particolare attenzione al sociale. Dove nasce quest’attenzione sempre presente, da quale particolare evento?

Io ti ribalterei la domanda. Non è che io non voglia risponderti, ma la domanda dovrebbe essere: «Perché no?» Io ho molti privilegi, tra qui quello di poter parlare ogni sera ad un migliaio di persone. Avendo questa possibilità, perché parlare del Napoli o della Juventus? Che me ne importa? Tanto vale che io parli di cose che mi stanno a cuore. la tua domanda era: perché mi stanno a cuore?

Perché sono un abitante di questo pianeta, e non ho alternative: il mio pianeta è questo, e qui devo campare, come devono farlo i miei figli, tu, e tutti quelli che ci stanno ascoltando. Tanto vale che questo riesca ad essere il miglior pianeta possibile. Se il mio contributo microscopico può essere un contributo, ben venga.

Seven, lo spettacolo di Giobbe Covatta che parla dei sette vizi capitali. Tra i sette, qual è quello che ti riguarda maggiormente. Quello che pratichi con maggior affetto?

Ringraziando Dio li pratico un po’ tutti. Una volta praticavo con entusiasmo la lussuria, ora mi dedico più alla gola, ma è per motivi di età. Ma, come dico nello spettacolo, finché si tratta di vizi privati, che attengono alla debolezza umana, allora sono veniali. Diventano mortali quando il vizio diventa un vizio sociale: lussuria sociale, come i disastri della pedofilia; avarizia sociale, come quando si mette a rischio di sopravvivenza metà del nostro pianeta. È allora che le cose cambiano.

Durante lo spettacolo si presenta anche un Giobbe Covatta accompagnato da un’orchestra, che racconta… cosa?

In realtà l’orchestra questa sera non c’è, perché il pianista si è ammalato… è stata una serata particolare, s’è scassato quasi tutto. Era Giobbe Covatta con un microfono che ringrazianno a Maronna funzionava. In realtà canto solo una canzone di Gaber, Non insegnate ai bambini la vostra morale. Una canzone di straordinaria bellezza, che io indegnamente canto… canticchio… anche grazie di un bravissimo pianista. È lui che sta appresso a me, non il contrario come dovrebbe essere. Detto questo, poi in realtà la musica è di sottofondo ai momenti meno ludici dello spettacolo, quelli un po’ più sociali. Serve a creare un clima poetico, laddove sia possibile.

Nel raccontare questa società, ti consideri un artista irriverente?

No, mi considero uno che racconta questa società. Anche qui, se fossimo dentro Star Trek, il computer direbbe “definire irriverente”. Se significa avere un’opinione diversa da quella comune, o diversa da quella ufficiale, o semplicemente avere un’opinione laddove non ce n’è una, allora sì, sono irriverente. È difficile definire le cose, perché, a mio avviso, attengono alla normalità. Io vado sul palco e racconto quello che ritengo opportuno dire, ciò che penso. A volte quello che penso corrisponde a quello che pensano gli altri, altre volte no, ma questo fa parte della dialettica umana.

In questo momento, in alcune zone del mondo – che tu racconti in Seven sotto forma di pillole che somministri più volte nella serata – si soffre la fame, ci sono tante guerre e problemi molto gravi. Pensi che il mondo abbia bisogno di giustizia. Ora più che in passato?

Il mondo ha bisogno solo di giustizia. Solo di quella. Si dà per scontato che la giustizia sia quella cosa che ci fa piacere, mentre in realtà la giustizia è altro. Dovrebbe far piacere a tutti. Giustizia e democrazia sono l’essenza dell’umanità, il motivo per cui tutti quanti possono vivere liberi e felici – o possono averne la possibilità. Quando viene meno questa condizione, si entra nel mondo dell’ingiustizia. A volte cerchiamo di rimediare con la carità, o con atti di magnanimità, che però sono solo un surrogato della giustizia. La giustizia è altro, è quella che manca, è quella che se ci fosse farebbe si che il mondo andasse meglio. È quella cosa per cui si dovrebbe pensare – come non sta succedendo in questi ultimi giorni – che l’intervento sul clima, sul pianeta, non è un intervento che si può decidere di fare o meno. Non è una cosa marginale, è una cosa essenziale, perché permette al pianeta di sopravvivere nelle possibilità che esso ha. Invece si lascia intendere che sia una specie di capriccio: «No, vabbè, mo pensiamo prima alle cose serie, poi ai pannelli solari ci pensamm n’atra vota.» E questa è la visione distorta che abbiamo noi, e la nostra società, per cui continuiamo a pensare che salvare l’economia investendo milioni di miliardi nel sistema economico sia più importante che intervenire con qualche decina di miliardi per far sopravvivere metà del nostro pianeta. Senza pensare che il pianeta può vivere senza economia, ma non è vero il contrario: l’economia, senza il pianeta, non campa.

In quasi chiusura del nostro incontro, parliamo dei recenti interventi della Chiesa nei confronti della politica della satira. Anche a questo tu accenni nel tuo spettacolo, facendo riferimento alla Santa Sede. Come vedi il fatto che la Chiesa entri nella politica e, soprattutto, imponga delle linee guida ai comici ed a coloro che fanno satira?

Come vuoi che la veda? (ride) La vedo nera, come si diceva una volta, la vedo male. Come al solito si sposta l’attenzione altrove: la Chiesa, che dovrebbe essere il punto di riferimento mistico, dell’anima, diventa punto di riferimento dell’economia. Continuiamo a fare interventi sulla scuola, mentre basta che i vescovi protestino per la decisione del Governo di togliere i fondi alle scuole private, che quei fondi vengono ridati, tutto apposto, tutto bbuono così. E quei poveretti, che stanno in piazza da sei mesi, ancora stanno là che urlano, e che cercano di sopravvivere in un’Università che casca a pezzi. Continui spostamenti di attenzione, dal problema reale verso altri problemi che dovrebbero essere di importanza marginale. La Chiesa si dovrebbe occupare delle anime delle persone, in maniera – peraltro – democratica. Io sono disponibile a mettere la mia anima nelle mani del Papa, ma se non lo fossi sarebbero pure cazzi miei. (ride) Come al solito c’è una visione distorta delle cose, della quale ti posso fare milioni di esempi, legati alla Chiesa, alla politica, alla società. Ci stiamo abituando ai paradossi: noi continuiamo ad essere terrorizzati da certe cose – per entrare nel tema delle sicurezza – che sono lo 0,3% delle morti in Italia. Continuiamo ad essere terrorizzati dagli extracomunitari perché, una volta ogni x, qualcuno che arriva disperatamente sul nostro territorio… Sai che il 90% dei reati commessi da extracomunitari avviene nei primi 8 mesi di presenza in Italia? Perché cessano una volta che hanno trovato la loro collocazione. Vengono commessi, in linea di massima, per cercare di sopravvivere. Detto questo, i reati commessi dagli extracomunitari sono una percentuale minima rispetto ai morti sulla strada. O ai morti sul lavoro, che sono in media 4 al giorno. Ma noi siamo terrorizzati dagli extracomunitari. E che bbuò fa?

C’è questo spostamento continuo di attenzione nei confronti delle cose che ci fanno – socialmente – più comodo, o meno comodo. Noi continuiamo a pensare che il crollo della banca americana sia una catastrofe, però gli economisti americani – con un cinismo sfrenato – ci dicono che se domani mattina l’Africa si svegliasse senza più neanche un abitante, se stanotte tutti gli abitanti dell’Africa morissero, la borsa di New York non perderebbe nemmeno un punto percentuale. E questa è la logica di questo pianeta. Mo, detto questo, io cerco di raccontarla nel modo più scanzonato e divertente possibile, perché faccio il comico. A volte si assegnano ai comici dei ruoli che non dovrebbero avere. Come Grillo, attorno al quale ultimamente si è creato un gran polverone. Il comico è uno che riesce, in qualche modo, a intuire qual è la sintomatologia del male. A volte riesce perfino a fare una diagnosi. Ma per la terapia serve la politica, nun potete pijarvela cu nnui. Serve la politica per fare la terapia.

Abbiamo visto, anche se non direttamente, la tua visione della politica. E della Chiesa. Che rapporto hai con la spiritualità terrena ed extraterrena?

La domanda si può dividere facilmente in due domande diverse, perché una cosa è il rapporto con la Chiesa, un’altra il rapporto con la spiritualità. Ad oggi, sono cose che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra.

Era solo per rubarti due risposte in una.

Conosco gente, legata alla Chiesa, che di spirituale nnu tiene niente. Al contrario, conosco gente che si fa tranquillamente i fatti suoi, distante mille miglia da qualsiasi istituzione religiosa, che ha un animo profondamente spirituale. Mi ritengo un uomo con una spiritualità confusa ma consistente. Detto questo, sono distante milioni di chilometri dalla Chiesa.

Grazie a Giobbe Covatta per essersi raccontato. Alla prossima, in bocca al lupo per tutto!

Ciao!

Ascolta intervista audio a Giobbe Covatta.

One thought on “Intervista a Giobbe Covatta: “Seven ” i sette vizi capitali”
  1. Giobbe ho compassione per
    Giobbe ho compassione per te.
    Pensa a Tuo Padre e a tua Madre e al loro insegnamento che non avrai di certo dimenticato
    Un abbraccio

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