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Artista dalle diverse sfaccettature, portavoce del rap cantato in italiano, utilizza le composizioni per sottolineare comportamenti sociali di un’Italia che spesso si ritrova ad affrontare questioni sociali che vanno dal precariato, alla sicurezza sul lavoro passando in rassegna anche l’attuale situazione politica del nostro paese. Questo concetto di essere portavoce di un sistema che non funziona, Francesco di Gesù, l’ha sempre portato con sè, come fosse una sorta di missione o di analisi della società in cui vive.

Al microfono di Patrizio LONGO incontriamo Frankie Hi Nrg. Ciao Frankie!

Ciao a tutti! Grazie per l’ospitalità!

Posso permettermi di sintetizzare con poche parole la tua musica: dei brani per raccontare quello che non va?

Anche. Fortunatamente… tu dici mille sfaccettature, ma ci sono anche mille modi di guardare a quello che faccio. Beh, almeno io ne vedo mille, poi chiaramente “ogni scarrafone è bello a mamma sua”. Sicuramente, tra le cose che descrivo, c’è quello che secondo me non va. Mi propongo di sottoporre il mio punto di vista a chi ascolta, che eventualmente lo può sposare o criticare. Semplicemente una serie di punti di vista, raccontati nel modo più “filante” possibile. Scelgo un argomento e cerco di approfondirlo.

Il tuo impegno nella musica è espresso, a volte, attraverso il sociale e quello che tu analizzi e osservi. Per il tuo ultimo lavoro, DePrimoMaggio, stai preparando un tour che ti vedrà nei teatri delle principali città italiane. Riproporrai alcuni dei tuoi grandi classici che hanno cambiato la musica hip hop cantata in italiano?

“Cambiato” non lo so… spero di sì, qualcosina avranno fatto. Come minimo avranno fatto da colonna sonora a tante estati romantiche, per molti ascoltatori. Comunque è un’occasione, per me e la mia band, di ritornare in pista con brani tratti dal nuovo album – DePrimoMaggio, uscito un anno fa – che ci piace parecchio. Quindi abbiamo molto piacere nell’interpretarli dal vivo. Questo oltre, chiaramente, ad una serie di altre canzoni che appartengono al passato. Come Fight da Faida, che adesso, nel 2009, diventerà maggiorenne: l’ho scritta nel ’91. Così come Quelli che benpensano, Potere alla parola e altre canzoni del passato che riproporremo molto volentieri in uno spettacolo che unisce musica e immagini. Ci siamo avvalsi dell’aiuto di un gruppo di ragazzi dello IED, Istituto Europeo di Design, di Milano: hanno realizzato, per ogni canzone che eseguiamo dal vivo, un video che viene proiettato su un mega schermo alle nostre spalle, immergendoci completamente nelle immagini. Tutto a sincrono con quello che canto e con quello che la mia band suona: uno spettacolo multimediale di due ore che non è assolutamente da perdere.

Numerose le collaborazioni per quest’ultimo disco: una lista molto ricca ma che, nella prima parte, non stupisce, trattandosi di consuete collaborazioni musicali. Ma quando si legge il nome di Gianluca Nicoletti si rimane un po’ basiti. Mi racconti la trasversalità, i punti di contatto tra voi due. Tra Frankie Hi-Ngr, musicista e compositore, e Gianluca Nicoletti, giornalista contemporaneo e analizzatore critico di grande e piccolo schermo e dei fenomeni sociali?

Abbiamo molte affinità: entrambi siamo portatori sani di idee proprie, e non mandiamo a dire nulla perché ci piace recapitare di persona le nostre riflessioni, i nostri pensieri, direttamente al domicilio del destinatario. Ho sempre trovato molto divertente e interessante il suo stile, evidentemente così caustico, e la sua attenzione al mondo della televisione come finestra attraverso la quale si riesce a cogliere una certa temperatura della situazione sociale. Ci ho ritrovato parecchie affinità, e quando abbiamo avuto l’occasione di conoscerci e frequentarci un po’ è nata una simpatia che, dati gli argomenti del mio album – nella fattispecie due canzoni: Squarto Uomo e Il Giocattolo, in cui tratto i temi della “febbre del delitto” e dell’autodifesa a tutti i costi – mi faceva piacere che Gianluca le potesse analizzare come se si fosse trovato a vedere due trasmissioni televisive, più che ad aver ascoltato due canzoni. E che, quindi, scrivesse un testo che potesse legare, come una recensione, nello stile con cui lui, normalmente, scrive e racconta nei suoi articoli nella rubrica Golem e sui vari giornali su cui scrive. Gli ho chiesto di fare una sorta di articolo/recensione della mia musica, e il risultato è molto divertente. Poi, a sua volta, l’ho fatto diventare parte della musica con una canzone, Mattatoi, che dura neanche un minuto ma che sottolinea quanto sia paradossale la situazione dell’informazione in Italia.

Numerose le collaborazioni, dicevamo, e tra queste Ascanio Celestini, Georgia, Paola Cortellesi, Samuele Bersani,  Gianluca Nicoletti e anche Roy Paci che, nella canzone Rivoluzione, reinterpreta al meglio i fiati. Soprattutto in questa canzone viene scritta una piccola riflessione sull’Italia degli Alberto Sordi: possibile solo nella teoria, ma irrealizzabile nella pratica. Si tratta di un pensiero pessimista o di un’osservazione realistica del nostro paese?

La trovo un’osservazione molto disincantata. Nella mia affermazione che viviamo un’Italia all’Alberto Sordi non c’è l’acredine che trapelava nella famosa frase «Ve lo meritare, Alberto Sordi!» proclamata da Nanni Moretti, ma c’è tanto affetto. Sia per Sordi, come artista e come interprete di certi tic dell’Italia, che per l’Italia intera che sì, si merita Alberto Sordi, come si merita Totò e tante belle cose. Purtroppo, nei personaggi che ha interpretato Sordi, soprattutto nei suoi film più “impegnati” – che avevano un risvolto non comico ma tragico, da Detenuto in attesa di giudizio a Un borghese piccolo piccolo – ho sempre ritrovato un bello spaccato dell’Italia, ma di un’Italia in cui non c’è posto per la rivoluzione.

Non perché non ci sia la volontà o la capacità da parte del popolo italiano di realizzarla, ma perché c’è sempre troppa gente che rema contro, che prima partecipa e poi si tira indietro, e c’è il timore di avere degli interessi in qualche maniera rovinati dalla propria presa di posizione verso un’ingiustizia. Guarda cosa sta succedendo ultimamente: un massacro aziendale come quello di Alitalia che viene imputato ai piloti che scioperano, le manifestazioni studentesche, la lettera di Cossiga al capo della polizia Manganelli: cose allucinanti, che in paesi del “primo mondo” avrebbero causato una forte presa di posizione da parte della cittadinanza, prima che della classe politica, ecc. Invece, in Italia, solo un sommesso parlottare.. qualcuno che alza un po’ troppo la voce e gli altri che lo zittiscono: «Che è sto casino?» E finisce tutto lì, a tarallucci & vino, con la sola differenza che tanto l’uno quanto gli altri se li mangiano i signori della casta, mentre noi restiamo sempre a prendere le briciole e l’alito da sbornia.

In questa tua riflessione messa in musica, appunto in Rivoluzione, quasi a voler esorcizzare queste paure interviene una musica forte, ed un personaggio che proviene da una scena musicale altrettanto forte (la scena punk italiana): Enrico Ruggeri. È stata questa la scelta di Ruggeri, alla fine della canzone?

Enrico è un amico e, avendo appunto vissuto e fatto più esperienze di me, mi piaceva l’idea che un “vecchio”, esperto punk come lui desse la sua voce al disincanto che popola la fine della mia canzone.

Al microfono di Patrizio LONGO con Frankie Hi Ngr per parlare di DePrimoMaggio, il disco che diventa un tour teatrale in partenza tra pochissimo. Un titolo che si racconta da sé?

Anche questo ha molte chiavi di lettura. alcuni amano leggerlo alla latina, come fosse un trattato, dal momento che i temi del lavoro sono molto frequenti e ritornano sovente nelle canzoni che ho scritto in quest’album. Io l’ho interpretato come un “deprimo maggio”: dal momento che il lavoro non c’è e quello che c’è è, di fatto, una forma bistrattata di schiavitù, mi sembrava più opportuno ricordarne la ricorrenza che festeggiarlo. Più che papaveri rossi che oscillano al sole, crisantemi bianchicci a forma di corona.

Spostiamo un attimo la nostra attenzione sui diversi mezzi di comunicazione, e in particolare su quello che è svolto nella comunicazione televisiva. A tuo avviso, la televisione può essere considerata come un catalizzatore di movimenti socio-culturali. Più di altri media, quali la radio o internet?

Teoricamente potrebbe esserlo. Molto teoricamente. Ma all’atto pratico non si può, c’è anche una frase di Linton Kwesi Johnson che dice: “A revolution would not be televised.” La televisione non verrà trasmessa in televisione. È anche parzialmente citato nel mio ritornello. Perché la televisione è un’unica bocca, e trovare spazi in cui ci sia una bocca che dica cose sensate è sempre più raro e infrequente. Per questo internet è più aperta: ci sono bocche più piccole, che si rivolgono ad un numero minore di orecchie, però dà il tempo di ascoltare e riascoltare e intervenire, in maniera effettivamente interattiva. La maggioranza dei canali in Italia sono a diffusione nazionale, per poter prendere la linea e dire la propria bisogna fare anticamere di giorni e giorni al telefono. Per cui ha dei limiti strutturali che le impediscono di essere uno strumento per il dibattito, specie quando poi il dibattito è formato da persone che si urlano contro contemporaneamente tutto il male possibile, e chi sta a casa non capisce nulla e cambia canale. Radio, internet, questi altri media un po’ più “domestici”, se vogliamo, meno istituzionali, consentono sia un discreto scambio che la nascita di pay-network.

A proposito di televisione e di media, quando Frankie si scopre un esperto video-maker?

Nel ’97. Mi improvvisai tale con il video di Quelli che benpensano. Da lì, visto che stata un’esperienza molto gratificante, interessante, e che ha portato un buon risultato (perché il video è pure bello), ne ho approfittato per poterne realizzare anche altri. Pure per altri artisti, come Tiromancino, Pacifico, Flaminio Mafia, ecc.

Parliamo adesso del tour DePrimoMaggio, che partirà intorno alla fine di gennaio. Numerose le date; diamo anche il tuo indirizzo internet, per avere maggiori informazioni?

Senz’altro: www.frankie.tv. Tv come la televisione, che di per sé è un media che mi affascina parecchio. Mi divertiva l’idea di poter avere una sorta di, chiamiamola così, televisione privata su internet. Tra l’altro, andando a questo indirizzo è possibile saltare alle varie componenti del sito: la pagina di MySpace, il calendario con tutte le date, la possibilità di iscriversi al fan club su FaceBook e, inoltre, una cosa che ho inventato io da qualche giorno: una striscia che si intitola Il Divo, il cui protagonista è l’onorevole Giulio Andreotti, in uno dei rarissimi momenti di difficoltà della sua carriera. Mi diverto a scherzare su un personaggio di quella caratura.

Qualche battuta molto veloce prima di salutarci. Nel ’93 hai prodotto, insieme a Vittorio Gassman, la colonna sonora dello spettacolo Camper. Che esperienza è stata, l’incontro con un tale maestro?

Di per sé è stato uno shock quando, arrivato a casa, ho trovato nella segreteria telefonica il messaggio: «Pronto, sono Vittorio Gassman, stavo cercando Frankie.» Di per sé è un feticcio.

Pensavi fosse uno scherzo, dì la verità!

Sì, sulle prime sì. Poi ho avuto l’occasione di richiamarlo, di parlare con lui, ed è venuto addirittura a un nostro concerto in un teatro di Roma. È rimasto dall’inizio alla fine, bis compresi, è stato meraviglioso. Ho tuttora i brividi al ricordo che Vittorio Gassman è venuto ad un mio concerto ed ha dimostrato tanto apprezzamento e passione. E il lavoro è consistito nel creare una base musicale per un testo di questo suo spettacolo, per l’appunto, che recitava in coppia con suo figlio Alessandro. Era una fase dello spettacolo in cui c’era uno scambio, uno scontro generazionale tra padre e figlio, vecchi e giovani, ecc. Vittorio aveva pensato di renderla in forma rap, perché più adatto ad enfatizzare come, a volte, proprio i vecchi riescono a ricorrere ai linguaggi giovanili per farsi capire, piuttosto che i giovani ad adattarsi ad un’interfaccia linguistica che non gli appartiene tanto. Il risultato è stato un’occasione di lavoro, ma anche, veramente, una grande esperienza con uno dei maestri del teatro italiano.

Ma quel messaggio, se lo conservi ancora, credi che lo potrai utilizzare in uno dei tuoi prossimi lavori?

Non so… non credo.

È un caro ricordo?

È una cosa così: privata, personale… Poi magari anche sì, hai visto mai! Però così, fine a se stesso, mi suonerebbe un po’ come la vanteria del dire: «Ah, sentite qua…» Probabilmente, se fossi un dj, l’avrei già messo su vinile per scratchare durante le mie serate. È stato il messaggio di una persona cara, molto affettuosa, e lo tengo così, me lo conservo per me.

Hai conosciuto i Run DMC?

Sì, anche i Run DMC, e i Beasty Boys. Ho fatto l’apertura di alcuni loro concerti, in Italia, ed anche quella è stata una grande esperienza: avevo la camera tappezzata delle loro fotografie, poi trovarmeli di fronte nel camerino e avere il compito – durissimo – di dovergli aprire il concerto è stato… Comunque è stato un incontro molto piacevole. In particolare conoscere Jam Master Jay, il dj che, purtroppo, qualche anno fa è morto in uno scontro a fuoco in America. Era veramente… mi viene da dire “un pacioccone”… era una persona estremamente mite, gentile e generosa. Un’altra bella esperienza.

Frankie, io ti ringrazio per la disponibilità. Pronti per partire con questa nuova sfida musicale e teatrale! Alla prossima, grazie!

Grazie dell’ospitalità, a presto! Venite in tanti, dal sito al live, c’è spazio per tutti!

Ciao!

Ciao!

Ascolta intervista audio.

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