mario-biondi.jpg

Mario Biondi ritorna al nostro microfono per continuare a condividere il successo di “Handful Of Soul” (2006 – Schema / Family Affair) da poco assegnato il doppio disco di platino.

Ripercorriamo la carriera artistica e ricordando il nonno pittore, la nonna cantante alla EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche dopo RAI) ed il padre compositore cui Mario dedica il lavoro.

Il disco è stato promossa da una etichetta indipendente ritenendo che fosse riservato ad un pubblico di nicchia ed invece arriva questo successo inaspettato, dall’America prima, all’Italia e al Giappone.

In Italia afferma l’Artista non esistono strutture che aiutano e supportano i musicisti “Siamo come cani sciolti”. L’abbiamo promosso con l’alias Was-a-Be per paura di un flop commerciale. Anche se per questo progetto la motivazione del nick era ben diversa. Pensando ad un mercato orientale facemmo un’assonanza con la salsa del Wasabi ed il nick Was-a-be.

Ed ancora Mario ci racconta il rapporto con la musica da sempre sua fedele compagna insieme alla famiglia che lo segue in questo percorso musicale.

Qual’è il segreto di questo successo, prima disco d’oro e ora doppio disco di platino?

Sicuramente il successo è dovuto da un gradimento di una grossa fetta di pubblico. Ci siamo incontrati con tante persone, pensavamo di avere un sound che andasse più verso una nicchia invece è stato accolto.

Cosa faceva Mario Biondi prima di avere questo successo nella scena internazionale?

Sempre nella musica, in giro nei club, nei locali, a fare delle convention, a fare anche dischi house, a fare partecipazioni come corista e turnista in diverse cose, in passato a fare dei musical, a fare teatro, a scrivere brani per altre persone, a fare il produttore artistico per altre persone, diverse cose sempre nell’ambito musicale perché quella è l’unica cosa che so fare.

Un tuo ricordo del periodo in cui suonavi nei pianobar?

Devo tornare indietro un bel pò perché i pianobar erano alla fine degli anni ’80. L’88 al TWA di Taormina è stata l’occasione in cui ho avuto modo di fare da spalla a Ray Charles, a Fred Bongusto, a Califano, a Peppino Di Capri, serate con Rosario Fiorello. Sicuramente il pianobar è la “scuola”, quella originaria che ti faceva cantare 3-4 ore a sera, quella che ti faceva spaziare dagli standard jazz alla musica pop italiana alla canzone brasiliana, un pò di tutto.

“Handful of soul”, album che ha avuto un doppio successo: il primo decretato dal pubblico e il secondo perché scegli di lanciarlo non tramite una Major ma tramite un’etichetta “indipendente”. E’ stata una scelta voluta o una casualità?

Probabilmente entrambe le cose. Schema Records è proprio un’etichetta indipendente, una piccola etichetta che ha sempre fatto piccole tirature per l’Italia e per l’estero ma con una grandissima considerazione da parte degli addetti ai lavori, da parte della critica mondiale. L’incontro con Luciano Cantone è stato fortuito perché andai lì nel ’94 in compagnia di un amico che mi disse: “vieni, voglio che tu faccia ascoltare le tue cose a questo signore”, gli feci ascoltare le mie cose, lui era interessato e mi disse: “che bella voce black, mi piacerebbe fare delle cose con te, magari uscire un pò dal tuo genere soul e fare una cosa un pò più jazz” e io dissi: “piacerebbe anche a me ma al momento sono sotto contratto editoriale con la Sony quindi non mi posso permettere di farlo, chissà un futuro potrà rifarci incontrare”. Così è successo, nel 2004 insieme ad Alessandro Magnanini “This is what you are”, questa versione più elettronica per il club e l’etichetta che ci faceva venire in mente l’oriente, il Giappone e comunque un mercato di nicchia come la lounge, era la Schema Records, portammo da lui questo brano, lui lo stampò, lo stampammo con un nickname che era “Was-a-bee”, da lì divento primo nelle playlist di Norman Jay in Inghilterra e cominciò ad avere risposte dall’America, dal Giappone, tornando poi in Italia grazie ai network nazionali e a quel punto decidemmo di comporre un disco intorno a “This is what you are” ed è nato appunto “Handful of soul”.

Perché molti artisti a volte si nascondono dietro questi nickname come “Was-a-bee”?

Il nickname fondamentalmente è un modo come un altro per non esporre il proprio nome fino in fondo perché nella musica, soprattutto in Italia, non c’è una struttura che aiuta i musicisti, siamo dei cani sciolti, che tu sia bravo o di talento o un cane abbandonato, sei comunque abbandonato a te stesso. Cerchi di evitare di fare delle sciocchezze quindi di esporre il tuo nome per un progetto che magari fa un flop clamoroso. Nel caso specifico di “Was-a-bee” non era questa la motivazione, la motivazione fondamentale era che pensavamo che andasse verso un mercato orientale quindi facemmo l’assonanza fra la salsa “wasabi” e “Was-a-bee” e venne fuori così.

Poche settimane fà abbiamo incontrato Amalia Grè, quindi è d’obbligo parlare dell’ultima edizione del Festival della Canzone italiana. Lei ci diceva che è nato tutto per gioco, tu eri un suo fan, vi siete incontrati ed è nata questa poesia. Tu cosa hai provato a collaborare su un palco così prestigioso come quello di Sanremo?

Io conoscevo Amalia perché avevo sentito quel brano famoso “Io cammino di notte da sola” e la conoscevo grazie a Radio Dj, poi lei tramite la sua casa discografica ha visto la risposta che avevamo avuto con il disco e si è rivolta alla mia casa discografica proponendo di fare Sanremo e io avendo un’ammirazione per lei ho detto: “Sì, facciamolo”, ho sentito il brano che era veramente bello e ho detto si. Calcare le tavole dell’Ariston era una di quelle cose che mi ero ripromesso di fare, l’ho fatto grazie a lei e alla ENI che è la sua casa discografica, purtroppo poi non è andata in porto la parte discografica perché le due etichette non si sono messe d’accordo come spesso accade.

Nella tua famiglia esiste una genetica musicale, potremmo definirti figlio d’arte. Cosa hai imparato dalla tua famiglia e soprattutto da tuo padre al quale dedichi il tuo lavoro?

Io mi definisco sicuramente figlio d’arte, ma anche nipote e pronipote, il mio bisnonno era un pittore, mia nonna cantava alla EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche dopo RAI) degli anni ’40, mio padre seguì le orme di mia nonna ed era un cantautore piuttosto affermato negli anni ’70, negli anni ’80 ebbe la fortuna di partecipare al Festival della Canzone siciliana e di portare a casa un primo classificato con una canzone romantica che col tempo è divenuta una sorta di canzone ufficiale di Catania. Lui sicuramente mi ha trasferito tutto quello che è la passione per l’arte, per la musica e per questa bella sensazione che da la musica.

Diversi i registi del grande schermo che orientano la moda del momento, la loro visione ai compositori contemporanei. Con chi ti piacerebbe instaurare una possibile collaborazione?

Non so, mi potrebbe venire in mente Malcom Mix, visto che siamo sempre nella “black culture”. Penso che di registi italiani ce ne siano molti, Muccino è sicuramente uno di quelli più quotati e perché no, potrebbe essere lui.

Hai pensato di realizzare un disco cantato in italiano?

Non per ora, sto scrivendo delle cose in italiano per altre persone ma non mi dedicherò al momento a brani italiani per me almeno per un paio d’anni.

Siamo partiti dall’America con questo grande successo, siamo rientrati in Italia con un altrettanto successo, e adesso?

Adesso continuiamo a seguire l’onda che ci sta portando in giro per la tournèe, sto scrivendo dei brani nuovi, sicuramente ci porterà in giro parecchio, ci sono diverse richieste dall’America ancora, andremo in Giappone, in Germania,in Benelux, in Francia stiamo andando molto bene, siamo quindicesimi nella power chart francese.

La famiglia ti segue?

La famiglia mi segue quando è possibile ma talvolta si fanno anche dei sacrifici a fin di bene, lavoriamo un pò di più, ci si stacca in questi brevi periodi estivi e dopodiché si torna insieme più felici di prima.

Ascolta intervista audio a Mario Biondi.

Cosa ne pensi?

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.