Un talento innato il suo, quello di abile comunicatore fra radio, tv, web. Precursore e divulgatore dell’interazione fra i media. Voce alla radio prima con “Per voi giovani” e dopo “Popoff” il primo programma radiofonico notturno di Radio Due. Per non dimenticare il passaggio alla tv con “Mr. Fantasy” prima rubrica di videoclip, videarte, in centocinquanta puntate (1981-1984). Ed ancora a parlare di reti informatiche con “Mediamente”, il format che per primo in Italia parla della rete internet.

Al microfono di Patrizio LONGO incontriamo Carlo Massarini, indiscusso innovatore, per raccontare la sua idea di circolarità fra i media: radio, tv, internet.

Buongiorno!

Un talento innato il tuo, di grande comunicatore, fra radio, televisione ed internet.

Ti ringrazio del complimento! Sì, abbiamo fatto del nostro meglio, mettiamola così.

Precursore, e sicuramente innovatore dei nuovi media, ma anche della circolarità tra media. Tra radio, televisione e internet: quando hai pensato che questi tre grandi mezzi di comunicazione potessero comunicare tra loro?

Non l’ho mai pensato scientemente, al massimo nel modo in cui lo può pensare chiunque lavori in questo campo. Io mi son trovato a fare prima radio, negli anni ’70, poi televisione negli anni ’80, fino a quando è arrivato il fenomeno tecnologico di internet, ed abbiamo fatto televisione sulle nuove tecnologie. Quindi non è che uno si alza ed ha una visione: le cose succedono. E man mano che succedono cambiano le prospettive, i parametri, i paradigmi. Quindi cambia anche la tua visione delle cose. Magari cambia, come nel mio caso, il tuo mestiere. Sono passato da un medium all’altro, da un programma all’altro, quindi ho fatto un percorso diverso all’interno di situazioni diverse.

Parlavamo di un modo innovativo di approcciarsi, prima con “Popoff”, questo programma in onda su Radio Due, il primo programma musicale. Poi sei stato direttore di “Rolling Stone Italia”, per arrivare a “Mister Fantasy”, un programma che a quei tempi era sicuramente avanguardista?

Quello è il mio percorso nel mondo della musica. In realtà ho cominciato ancora, prima di Popoff con “Per voi Giovani”. Erano i primi programmi musicali radiofonici. Non c’erano le radio private, eravamo praticamente l’unico programma italiano di musica, il che ci dava un certo senso di esclusività. Ho cominciato da ragazzino, avevo 17 anni. È stata una stagione molto divertente, perché era molto in tono col mio amore per la musica. Io sono partito, ovviamente, da ascoltatore. Forse solo un po’ più attento, ed erudito. Parlavo bene l’inglese e mi son trovato in questo flusso che, devo dire, abbiamo cavalcato i maniera molto interessante. Poi da lì son passato alla fotografia e al giornalismo: “Popster” che ora si chiama “Rockstar” e, ovviamente, “Rolling Stone Italia” che fu un disastro perché c’erano due editori che attaccavano a litigare tra di loro. Il giornale fece una decina di uscite e poi scomparve. Quel percorso lì mi portò in televisione. Paolo Giaccio, che io avevo già conosciuto in radio – lui e Fegiz erano i due produttori di “Per voi giovani” e “Popoff” – mi chiamò, e partì questo programma che era molto particolare, effettivamente avanguardistico per i tempi. Era il primo programma al mondo, prima ancora di MTV America ad usare i video non come collante, o come riempitivo, ma come palinsesto vero e proprio, come contenuto principale. Quelli sono stati tre anni davvero molto divertenti, perché di nuovo eravamo una novità in televisione, anche dal punto di vista formale. Siamo stati celebrati, siamo diventati una trasmissione di culto, e abbiamo sicuramente aperto un percorso, sia di contenuti che formale. A partire dalla nostra grafica, un po’ assoluta, tutto quel bianco con dentro il personaggio ha segnato un po’ lo stile. Mario Convertino, che era il nostro grafico, ha sicuramente influenzato molta della grafica televisiva. Non era solo un programma, ma un gruppo di persone che lavoravano attorno ad un concetto in un momento molto particolare, che erano i primi anni ’80. Da un punto di vista di moda era il periodo del look stravagante, esagerato, coi capelli cotonati. Molto dandy: Duran Duran, Spandau Ballet, tutto quel mondo lì. Dal punto di vista del design era l’epoca di Memphis, e quindi di Ettor Sottsass, che ha sicuramente lasciato un segno. Un determinato stile in tutto: nei mobili, nei tessuti, il tutto parallelamente allo sviluppo della video art. I primi video artisti, video pittori, le prime video installazioni… è stato un momento creativo più che un programma, molto interessante da qual punto di vista lì.

Ripreso anche dal fenomeno dei primi video musicali che apparivano nei primi anni ’80. Avevate capito che in Italia questo nuovo tipo di comunicazione poteva funzionare?

carlo-massarini-08.jpgIl videoclip all’inizio era un po’ un UFO, nessuno sapeva bene che cosa farci. Si capiva che sarebbe successo qualcosa, ma non si sapeva bene che cosa. All’inizio alcuni gruppi lo accolsero con piacere. Altri invece – i cantautori storici, i gruppi rock storici – lo guardavano come si guarderebbe un alieno molto lontano da sé, c’era molto scetticismo. Poi son cominciate le produzioni importanti, tipo quella di “Thriller” di Micheal Jackson, che è stata la prima a superare il milione di dollari di budget, ed ha cominciato a funzionare MTV America, che è stata ovviamente il vero grande traino mondiale del fenomeno. La gente ha iniziato ad investirci soldi. Sai come son gli americani: quando capiscono che una cosa funziona ci mettono dentro soldi, passione, intelligenze. Molti dei nuovi registi, di quelli che poi son diventati dei grandi nomi, hanno cominciato facendo video-clip. Si è formato un movimento, legato al video, che ha aperto delle possibilità. Poi, a poco a poco si son convinti tutti che era utile farlo, perché era l’unico mezzo per andare in produzione in Australia, o in Brasile, o in Europa senza muoversi da casa. Quindi era uno strumento utile per fasi conoscere, per supportare le tournee, per far ascoltare i dischi nuovi anche a chi non ascoltava la radio… o non ascoltava i dischi. Si è capito che al momento creativo poteva coincidere un momento commerciale importante, e lì si è aperto un percorso che ci porta ai giorni nostri.

A tuo avviso, volendo fare una battuta, “Forrest Gump” aveva visto “Mr Fantasy”?

No, ma poteva aver visto “Non necessariamente”, che è stato un programma fatto subito dopo. Meno popolare e meno conosciuto, anche perché erano solo 11 puntate andate in onda – come al solito – un po’ a tarda notte. Giocavamo un po’ con gli effetti speciali: già l’idea in sé era profetica, nel senso che io stavo in un isolotto di silicio, di sabbia, con una rete metallica, un computer un po’ datato ed una pietra che era la pietra della memoria. Questa rete mi prendeva e mi portava in giro in tutta una serie di situazioni diverse. Alcune create con computer, altre che erano prese da vecchi film, vecchi programmi televisivi, vecchie pubblicità, ecc. Di per sé era, letteralmente, internet… e stiamo parlando del 1984-85, anche se è uscito solo nel tardo ’86, a causa di un processo di produzione e di regia davvero infinito. Lì giocavamo con gli effetti alla Forrest Gump: io che parlavo con Stalio e Ollio, o capitavo sul palco di Baudo di vent’anni prima e facevo tutta una serie di percorsi un po’ bizzarri. Era un momento in cui la televisione si lasciava andare alla fantasia, nel senso che c’era un po’ voglia di creare – almeno da parte mia – delle cose che non si erano mai viste. Stiamo parlando dei tardi anni ’80, e secondo me quella stagione lì, della sperimentazione che fosse anche visuale oltre che concettuale, si è persa quasi subito. Credo che elementi di questo spettacolo si siano ritrovati poi nei programmi della Dandini, in Striscia la Notizia… Non so dire se siano stati copiati o se siano semplicemente delle cose che sono emerse dopo e che io avevo semplicemente intuito prima. Le finte pubblicità, questo gioco di ridoppiare con senso diverso filmati precedenti, le finte telenovele, erano tutti giochi che noi abbiamo fatto lì dentro. Poi arrivarono quello del Trio, arrivarono un sacco di persone, che probabilmente fecero anche meglio: specializzandosi in quella cosa specifica, probabilmente, sono riusciti a fare anche meglio quello che noi eravamo solo riusciti ad abbozzare. Il problema è che a noi non hanno mai dato una seconda chance e quindi il progetto è nato e morto lì. Era un progetto molto curioso, se lo vai a rivedere adesso è ancora molto moderno. Però stiamo parlando del lontano 1986.

Tutto questo lavoro per giungere al programma che ti ha fatto conoscere al grande pubblico, in cui mettevi in relazione il nuovo media, internet, spiegandolo attraverso la televisione. “Mediamente” è nato nel ’95 da un’idea di Renato Parascandalo, ed è durato 7 anni. Come ti sei trovato coinvolto in questo progetto, che doveva una produzione enorme in termini di ore di lavoro?

Sono entrato in maniera curiosa, come spesso accade. Loro avevano fatto un numero zero con Gianluca Nicoletti, che poi è diventato famoso per altri percorsi, che aveva un suo tono nei confronti della tecnologia. Non funzionava molto, quel suo tono apocalittico da profeta di “Quinto potere”, che è quello che lui usa naturalmente nei suoi programmi. Chiamarono me per provare un taglio un po’ più divulgativo. C’era da raccontare una rivoluzione in atto, di cui s’intuiva la portata ma non lo sviluppo, non ancora. Mi hanno chiamato ed è andata bene, mi sono adattato velocemente al ruolo. I primi due anni sono stati di formazione: Parascandalo aveva avuto l’idea felice di affidare la parte autorale a dei neolaureati in filosofia, piuttosto che ad ingegneri o a smanettoni, ottenendo così un taglio di cultura umanistica, più legato alla ricaduta di questa tecnologia che al fenomeno tecnico in sé. Secondo me è stato un programma interessante, da sevizio pubblico, che ha alfabetizzato – per quello che era possibile – la maggior parte delle persone che adesso ne sa qualcosa. Credo che siano passate in buona parte attraverso Mediamente, anche perché abbiamo fatto una quantità di puntate allucinante, sulle 1500: puntate di dieci minuti, puntate di un’ora, speciali, speciali criptati sul satellite per le scuole. Abbiamo fatto un lavoro interessante, un gruppo di lavoro che era al centro della produzione di prodotti diversi. Non era solo il formato televisivo, abbiamo fatto anche un sito molto importante, che poi è stato “freezato” quando ci hanno chiuso ma che comunque è ancora lì, con 500 interviste ai protagonisti dell’epopea del digitale. Un lavoro diverso da quello musicale: televisivamente parlando la musica è più calda, coinvolgente. È più facile identificarsi con un cantante che tocca il tuo cuore che con degli ingegneri che s’inventano un nuovo software. però in entrambi i casi sei con personaggi e in situazioni molto creative. Indubbiamente coloro che hanno disegnato il sistema di internet, e tutto quello che è venuto negli ultimi 15 anni, hanno dato un apporto di fantasia e di visionarietà al sistema pianeta. Non solo agli amanti della musica. C’è stata molta creatività, è stato molto interessante: ci sono stati incontri importanti, serate importanti.

Cosa sta facendo, adesso, Carlo Massarini?

Son tornato indietro, alle origini, e in questa lunga pausa – dato che in televisione non si riesce a quagliare – ho pensato di recuperare tutto il mio archivio fotografico. Per dieci anni ho girato con la macchina fotografica in mano, approfittando della mia posizione e fotografando praticamente chiunque. E quindi ho questo archivio abbastanza vasto con delle foto abbastanza belle, di praticamente chiunque puoi nominare. Gli unici che non ho sono i Beatles e qualche altro qua e là. L’idea è di mettere insieme tutto questo e fare un racconto di quegli anni, partendo dal ’69 e dalle mie prime foto ad Hide Park, i Rolling Stones, fino ai primi anni ’80. È stata un’era meravigliosa, c’era una musica fantastica e personaggi che al di là dell’aver fatto parte della musica moderna hanno inciso veramente a fondo nel costume, nel sociale, nella comunicazione. Un viaggio in un periodo che era, dal punto di vista musicale, veramente straordinario. Anche nonostante le difficoltà vissute negli anni ’70, gli anni di piombo.

Quindi stai ancora lavorando sul progetto di Dear Mr Fantasy?

Sai, io sono abbastanza pignolo e perfezionista, scrivo piano, documentandomi, ecc. Poi c’è tutta la parte della scelta delle fotografie, la scansione… insomma, un lavorone, di quelli che fai una volta nella vita, e che poi non ripeti. Per quello ci tengo a farlo bene. Dovrebbe uscire a Natale, si dovrebbe chiamare “Dear Mr Fantasy”, come il disco dei Traffic che mi ha cambiato la vita e come la trasmissione televisiva che mi ha cambiato la vita. Spero che venga un buon prodotto, son sicuro che sarà di grande fascino per la gente della mia generazione, quella dei 40 – 50 – 60enni. Credo che però sia interessante anche per coloro che quel periodo non l’hanno vissuto, perché è un libro onnicomprensivo, c’è dentro veramente di tutto: da Andy Warhol a Venditti, da Jackson Browne a Bob Marley, dai Genesis a chi vuoi tu. Un bell’affresco di un periodo storico molto bello.

Carlo, io ti ringrazio per la disponibilità, Ti auguro un mega in bocca al lupo per questo “Dear Mr Fantasy”.

Un mega crepi il lupo, e ci sentiremo più avanti!

Alla prossima, ciao Carlo!

Ciao, arrivederci! Ascolta intervista audio.

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